È conosciuto come il Picasso indiano, ma nella sua arte l’estetica lascia spazio alla storia dell’India e a quella personale. L’arte di Magbool Fida Husain (1915 – 2011) fa ritorno dopo 70 anni a Venezia con una mostra dal titolo “The Rooted Nomad: M.F. Husain”, allestita fino al 24 novembre ai Magazzini del Sale, nella sede della Reale Società Canottieri Bucintoro. Organizzata dal Kiran Nadar Museum of Art (KNMA), la mostra, in un percorso in parte espositivo e in parte immersivo, in linea con il tema della Biennale di Venezia 2024 “Stranieri ovunque”, traccia il percorso artistico di uno dei più iconici artisti indiani del XX secolo, celebrato e riconosciuto a livello internazionale. I suoi colori audaci e le sue pennellate espressive divennero la quintessenza dello stile del modernismo indiano. Intrecciando iconografie religiose, sociali, letterarie e simboliche, in un registro artistico laico, Husain non si limitava a dipingere nel suo studio ma, conosciuto come il “pittore del popolo”, dipingeva dove e quando il momento lo richiedeva. La mostra, curata da Roobina Karode, direttrice e curatrice capo di KNMA, e dal team curatoriale, costruisce la narrazione attraverso i dipinti del maestro, ma anche attraverso fotografie, stampe, testi e poesie. Un’esperienza immersiva progettata da Visioni Srl di Roma che, attingendo a quasi 160 opere di Husain dalla collezione KNMA, con motion graphics, live action, animazione 2D e 3D, coreografie e sound design, in modo intimo cerca di meglio far conoscere la complessa storia di questa singolare figura.
Presto associato al Bombay Progressive Artists’ Group, Husain è stato uno dei primi artisti indiani le cui opere sono state esposte a Venezia, con una pionieristica partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1954, seguita da quella del ’65. La sua mostra personale a Praga nel 1956 segna anche l’anno in cui dipinge “Tra il ragno e la lampada”, che viene esposto alla Biennale di Tokyo nel 1959 e per il quale viene insignito del Premio Internazionale della Biennale. Alla fine degli anni ’60, dipinse il “Mahabharata” esponendolo alla Biennale di San Paolo del 1971 dove, insieme a Picasso, fu l’unico invitato speciale. Il suo primo film sperimentale “Through the Eyes of a Painter”, esempio di cinema impressionista ambientato nello stato del Rajasthan, vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 1967. A questi seguirono molti riconoscimenti del governo indiano. Gli anni ’90 videro l’agitazione dell’estremismo religioso e Husain venne accusato di aver offeso i sentimenti religiosi della comunità maggioritaria. Minacciato, fu costretto a lasciare la sua amata India nel 2006. I suoi ultimi anni li trascorse infatti in esilio autoimposto tra il Qatar e Londra, dove morì nel 2011.
La mostra inizia con piccole opere di notazione, ricche di semplicità, che hanno definito i primi anni di Husain a Bombay. I disegni a matita dello skyline di Bombay degli anni ’40, una cosmopoli multireligiosa, sono contrassegnati dalle sagome di moschee, chiese e templi e da statue indiane e coloniali. Altrove, gli intimi disegni di Husain su Praga parlano di amore ed eros, mentre una serie di opere rivelano l’amore dell’artista per l’India rurale, i suoi ritmi lenti e i suoi valori duraturi. La mostra, comprende opere iconiche quali “The Pull” del 1952 e “Yatra” del 1955, che significa viaggio, con cui tenta di svelare le nozioni ampliate sul tema del viaggiare, sia come punto cruciale della vocazione artistica sia come metafora di trasformazione. L’esposizione culmina con l’opera “Karbala” del 1990, capolavoro di Husain, per la prima volta esposta al pubblico. Il dipinto fu realizzato dall’artista in commemorazione della furiosa battaglia della città di Karbala in Iraq del 680 d.C, divenuto luogo sacro per i musulmani sciiti, che segnò il martirio dell’Imam Hussain. Si tratta della più grande opera realizzata dal pittore che, richiamando l’impostazione picassiana, creò in occasione dello scoppio della Guerra del Golfo. Il dipinto colloca il fedele cavallo dell’Imam Hussain, Zuljinah, al centro dell’opera. Il cavallo senza cavaliere, che porta la notizia della morte dell’Imam, è tra i volti più articolati dell’intera opera di Husain, contrapponendosi ai cavalli neri che galoppano in uno stato di violenza e caos. “Karbala” appare come un dipinto spartiacque nella vasta opera di Husain, che segna non solo un’affermazione di resistenza ma anche dell’identità religiosa solitamente dormiente di Husain.
Nel corso degli anni Husain ha articolato la sua visione sincretica dell’India come un mosaico culturale riccamente stratificato, sia secolare che sacro. L’inquieto spirito itinerante di Husain, l’ampiezza delle esperienze che ha raccolto e l’evocazione di viaggi multipli, costituisce il nucleo centrale delle molteplici costellazioni delle sue opere presentate in mostra, che portano a riflettere sulle idee di mobilità, migrazione e spostamento oltre i confini e i limiti prefissati. “Lascia che la storia mi attraversi, senza di me” diceva filosoficamente l’artista. Husain amava illustrare la storia, sia nazionale che personale, tessendo immagini e parole che alludevano ad un emergente nazionalismo indiano, alle prime forme d’arte e di incontro di culture. Predisposto ad aprirsi al mondo, mostra un evidente entusiasmo nei confronti del futuro. «La vasta importanza dell’India, sia come una delle più antiche civiltà della storia umana che come una nazione appena nata nel 1947 con la sua indipendenza dal dominio coloniale del Raj britannico, si è espressa ossessivamente nell’arte di Husain e nella sua prolifica opera attraverso i decenni nei suoi 95 anni di vita artistica attiva» ha detto la curatrice Roobina Karode. «Una delle missioni principali del KNMA è quella di aumentare la consapevolezza degli artisti indiani e dell’Asia meridionale in tutto il mondo e di rendere l’arte accessibile a un pubblico eterogeneo» ha invece dichiarato Kiran Nadar, presidente e fondatrice del KNMA, sottolineando come la mostra, dal carattere immersivo, sveli così il sogno dell’artista modernista indiano ancora oggi più convincente.
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