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Il Padiglione della Santa Sede: «Un luogo da vivere»

Aprirà il 10 maggio il Padiglione della Santa Sede a cura di Marina Otero Verzier e della veneziana Giovanna Zabotti. Un cantiere aperto che sarà luogo di incontro e condivisione per associazione e cittadini

Desta già molta curiosità, specialmente nei veneziani, il Padiglione della Santa Sede presente alla 19. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia 2025 che, aperto dal 10 maggio al 23 novembre, promette di diventare un luogo per la comunità. “Opera Aperta” è il titolo del progetto del Padiglione voluto dal  Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede, di cui è prefetto il Cardinal José Tolentino de Mendonça, che si terrà per la pima volta nel Complesso di Santa Maria Ausiliatrice a Castello. Il luogo, in accordo con il Comune, verrà restaurato e gestito dal Dicastero per le attività culturali del Vaticano. Il progetto, che vede come main partner Intesa Sanpaolo, è curato da Marina Otero Verzier, architetto, curatrice e ricercatrice, e dalla veneziana Giovanna Zabotti, direttrice artistica di Fondaco Italia e già curatrice del Padiglione Venezia. La direzione artistica e il progetto di allestimento saranno invece ad opera di due tra i più importanti studi internazionali di architettura specializzati in costruzione responsabilee cura collettiva: il Tatiana Bilbao Estudio, con sede a Città del Messico, e Maio Architects di Barcellona. “Opera Aperta” sarà un cantiere a cui tutti sono invitati a collaborare. Mentre si ripareranno i muri e i dettagli architettonici dell’edificio, il Padiglione proporrà relazioni di vicinato e ospitalità intergenerazionale: «Il nostro desiderio è che questo padiglione-parabola possa dare espressione concreta, nel campo dell’architettura, alle intuizioni profetiche contenute nell’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco e diventare un laboratorio attivo di intelligenza umana e comunitaria in cui ricostruire spazio fisico e sociale, mettendo in comune ragione e affetto, professionalità e convivialità, ricerca e vita ordinaria» ha detto il Cardinal José Tolentino de Mendonça, che ricorda le parole di Papa Francesco che proprio l’anno scorso era stato a visitare la Biennale: “Non occupare spazi ma immaginare processi”.

Uno spazio in divenire per la collettività, tra arte e musica

Il Padiglione della Santa Sede punta ad essere uno spazio in continuo divenire che ospiterà il lavoro collettivo, accanto a quello degli studi di architettura, di associazioni e realtà artigianali di Venezia, che sono invitate a mettere a disposizione le loro capacità e competenze per creare un progetto aperto a tutta la comunità, in uno scambio e coinvolgimento continuo. A cominciare dall’UIA, l’Università Internazionale dell’Arte che nel Padiglione, tra le varie iniziative, condurrà una serie di workshop di restauro e riqualificazione due pomeriggi alla settimana, assicurando che le tecniche tradizionali di costruzione vengano trasmesse alle nuove generazioni. Tutto ciò in collaborazione con la ditta Lares, che realizzerà l’intervento di restauro della parte monumentale che sarà visibile al pubblico dal lunedì al giovedì dalle 10.00 alle 18.00. Oltre al restauro, “Opera Aperta” promuoverà lo scambio culturale attraverso pasti condivisi e musica. Una cucina comunitaria, gestita dalla cooperativa Non solo verde, accoglierà due volte a settimana i visitatori della Biennale e i residenti, creando uno spazio di dialogo e confronto, mentre, constatato che in città mancano spazi per la musica, il Conservatorio di Musica “Benedetto Marcello” sosterrà i musicisti locali offrendo all’interno del Padiglione sale per le prove, depositi e disponibilità di strumenti tra cui arpa, pianoforte e pianoforte verticale. Queste strutture saranno accessibili nel fine settimana, con possibilità per i musicisti di prenotare online la sala per suonare, seguendo fasce orarie di un’ora ciascuna. Inoltre, mediatori dell’Università Ca’ Foscari e studenti dello IUSVE -Istituto Universitario Salesiano, aiuteranno a riabitare lo spazio e far incontrare il tessuto sociale.

La storia del Complesso di Santa Maria Ausiliatrice

Antica è la storia del complesso che, grazie ai lavori attuati dal Dicastero, dovrebbe riprendere vita. Del luogo si hanno testimonianze già a partire dal 1171, quando una Confraternita eresse l’ospizio per accogliere i pellegrini diretti in Terrasanta. Passato il periodo delle crociate, questo fu adibito in modo definitivo ad ospedale. L’ospedale, il più antico del centro storico di Venezia, assunse presto importanza nell’ambito dell’organizzazione sanitaria in città, determinando nel 1341 la necessità di acquistare alcuni degli edifici confinanti e ampliando la chiesa già esistente. Il particolare, visibile dalla pianta di Venezia di Jacopo de’ Barbari del 1500, lascia appena intravvedere la semplicissima struttura della chiesetta allora dedicata a San Gioacchino, identificabile solo per mezzo del timpano triangolare concluso dalla croce. Pochi altri sono infatti i dettagli architettonici che riconducono ad un edificio religioso. Notevoli sono le trasformazioni che il complesso ha subito durante il XVIII secolo a cui è possibile far risalire il probabile ampliamento della chiesa e la costruzione del matroneo, portando il complesso all’aspetto attuale come confrontabile nella “Nuova Planimetria della Città di Venezia” di Bernardo e Gaetano Combatti. Nel 1860 il complesso riacquista un utilizzo unitario come patronato, senza più subire variazioni fino all’acquisto nel 1993 da parte delle Figlie di Maria Ausiliatrice di San Giovanni Bosco, che vi fondarono la “Casa di Santa Maria Ausiliatrice” con asilo, scuole elementari, scuola di lavoro e collegio. Nel 2001 la compagine è stata ceduta al Comune di Venezia, che lo ha destinato a centro di attività culturali e residenza per studenti, e da alcuni anni ospitava una ludoteca per bambini, che le mamme sperano venga presto riaperta.

Uno spazio per la città che vuole tornare a vivere

L’intento è che nel Padiglione prendano forma nuovi modi di abitare e relazionarsi con un’architettura sostenibile ed etica. «In una Biennale Architettura in cui si parlerà di “Intelligens”, come proposto dal curatore Carlo Ratti, in un mondo in cui le fratture e le divisioni sembrano amplificarsi, ”Opera Aperta” si propone come un atto di “riparazione” e di intelligenza comunitaria. Vogliamo fare un qualcosa di utile che potrà rimanere. – spiega la curatrice Giovanna Zabotti – Molte sono le associazioni e istituzioni attive sul territorio che vogliamo coinvolgere per lavorare con la comunità, mettendola al centro. Solo nel centro storico abbiamo contato 280 associazioni che parlano di solidarietà e promozione sociale. Una Venezia che forse molti della Biennale non hanno ancora visto, questo il Padiglione sarà occasione per parlare di queste realtà e coinvolgerle. – e conclude Zabotti – Il padiglione sarà un luogo dove colmare solitudini e fragilità per prendersi cura insieme della casa comune. Sarà un padiglione da vivere più che da vedere».

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