
Anche nella frenesia della vita si può trovare un momento di raccoglimento. È proprio questo che pare suggerire l’opera dell’“Ultima Cena” di Jacopo Robusti, meglio conosciuto come Tintoretto, realizzata per la Sala Capitolare della Scuola Grande di San Rocco a Venezia, che ritrae il momento in cui, durante il Giovedì Santo, Gesù istituì l’Eucarestia, nel primo dei giorni del triduo Pasquale. L’evento, così importante per la storia della Salvezza, anticipa le scene del ciclo pittorico eseguito da Tintoretto nella adiacente Sala dell’Albergo con le opere di “Cristo davanti a Pilato”, dell’“Ecce Homo”, della “Salita la Calvario”, per terminare con il grande telero della “Crocifissione” da poco restaurato grazie al Comitato Save Venice (leggi qui) e benedetto dal Patriarca Francesco nell’imminenza della Settimana Santa (leggi qui).
Quello che Robusti sceglie di rappresentare nell’Ultima Cena è il preciso momento in cui Cristo avvicina un’ostia alla bocca di Pietro, avvalendosi di un’interessante schema prospettico. Lo spazio che Tintoretto organizza per raccontare l’Ultima Cena è diviso in tre livelli. Nell’inquadratura in primo piano due mendicanti sono accovacciati uno di fronte all’altro su dei gradini vicino ad un cane. Questi, tipiche figure della pittura veneziana del tempo, non solo rappresentano i poveri cui s’indirizza l’attività assistenziale della Scuola ma, avendo accanto il pane e la brocca, simboli dell’Eucarestia, anche l’umanità tutta che si nutre del pane e del vino eucaristici, anticipando fin da subito il tema dell’opera. Vicino a loro c’è anche un cane, simbolo di fedeltà. Subito la scacchiera bicolore del pavimento marmoreo suggerisce una prospettiva che arretra velocemente in obliquo, mentre ogni elemento della composizione contribuisce, insieme all’illuminazione, a creare un effetto di profondità. Nel lunghissimo tavolo lungo il quale sono allineati gli apostoli, le cui proporzioni diminuiscono rapidamente, questi sono colpiti da due fonti di luce che determinano un chiaroscuro che accentua il tumulto di pose e atteggiamenti in una drammatica vivacità. Un’agitazione generale che si placa con la figura di Cristo che, nonostante le piccole dimensioni, si riconosce subito grazie all’alone abbagliante dorato che gli circonda il capo. Sullo sfondo invece, rialzata sopra altri gradini, c’è la cucina, completamente separata dalla sala dove Gesù è radunato con gli apostoli.
Il tutto è architettato in un perfetto quadro prospettico che trova convergenza fuori dall’opera e che, prolungando le line del tavolo verso l’esterno, conduce direttamente all’altare presente nella sala. Ma perché Tintoretto progetta ciò? Semplicemente per sottolineare come la tavola e l’altare siano la stessa cosa, nel ricordare che l’Ultima Cena rappresenta proprio il momento dell’istituzione dell’Eucarestia, che ogni domenica si celebra durante la Santa messa. La scena culmina nel momento della notizia del futuro tradimento di uno degli apostoli e dell’istituzione del sacramento, che suscitano concitamento e commozione generale.Gesù siede a capotavola e somministra l’Eucaristia a Pietro. Il pezzo di pane che Gesù sta dando all’apostolo ha già la forma dell’ostia. Nel mentre, appoggiato al petto del Salvatore, Giovanni è nascosto tra le sue braccia e quasi non lo si scorge. Seduto vicino a Gesù c’è anche Giuda. È di spalle, e lo si riconosce per la borsa legata alla cintura con dentro i trenta denari per cui lo ha tradito. Lui guarda verso il Maestro, attento a quello che sta avvenendo, mentre tutti gli altri sono ancora distratti e parlano tra loro.
Nell’opera i rapporti spaziali e la prospettiva sono amplificati in modo tale da conferire alla scena una dimensione quasi fantastica. Il talento di Tintoretto consiste nel fornire sempre un’immagine nuova e originale, connotata da quell’impianto narrativo di stampo cinematografico che lo contraddistingue. L’eccezionale qualità di questa grande composizione non sfuggì all’attenzione di un artista come Velasquez, che ne fece una copia durante il suo soggiorno a Venezia nel 1649 per offrirla a Filippo IV. L’ultima Cena è uno dei temi più cari e familiari di tutto il repertorio tintorettiano. Molte altre sono infatti le opere in cui il maestro della pittura veneziana del ‘500 replica il tema, in diverse varianti stilistiche e prospettiche, custodite in varie chiese della città, come quelle nelle chiese di San Polo, San Trovaso e nella Chiesa di San Giorgio Maggiore. Quest’ultima proprio ora, dopo oltre mezzo secolo, è oggetto di un intervento di restauro, possibile sempre grazie al Comitato Save Venice.
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