Partenza il 25 aprile da Venezia e poi: Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan e arrivo il 1 agosto Pechino. Questa, in estrema sintesi, è la spedizione ciclistica “Marco Polo a pedali” intrapresa da Alberto Fiorin, 64 anni, presidente della società ciclistica Pedale Veneziano, e Dino Facchinetti, 67 anni, segretario della stessa società, che hanno percorso in bicicletta 10.500 km in 100 giorni con unico un obiettivo: celebrare l’impresa di Marco Polo in occasione dei 700 anni dalla morte, con un’avventura altrettanto grande, ma in bicicletta. «Questo era un viaggio che aveva la pretesa di ricalcare le orme di Marco Polo seguendo la Via della Seta, non doveva essere un’impresa sportiva. – ha esordito Alberto Fiorin – La Via della Seta non era unica ma era piuttosto un fascio di percorsi che portavano a destinazione, snodandosi evitando guerre e interfacciandosi con la geopolitica dell’epoca. Per noi non è stato differente, siamo passati vicini a molti confini sensibili e abbiamo individuato questo percorso che possiamo definire un compromesso» ha spiegato Fiorin, raccontando che il problema più importante l’hanno avuto proprio nell’attraversare determinati stati a causa di guerre, contrasti geopolitici e momenti delicati, con particolare attenzione all’Azerbaijan, in cui dal 2020 a causa del COVID-19 normalmente non è possibile passare via terra; così come nel Turkmenistan, tratta in cui, oltre alle temperature estreme, sono stati seguiti da una macchina che ha garantito loro il corretto passaggio nel territorio. «Abbiamo avuto difficoltà solo nel passare le frontiere, per il resto durante tutto il viaggio ci siamo sempre sentiti al sicuro. – continua il ciclista – Al contrario il pubblico è stato il nostro dodicesimo uomo in campo, per dirla in termini calcistici, visto che ci ha adottato e faceva il tifo per noi quando passavamo. Molte volte addirittura le persone si fermavamo in macchina e ci fornivano acqua e frutta, senza sapere chi eravamo o perché, solo in virtù dello sforzo che ci vedevano fare».
Tra le varie difficoltà ad un certo punto del viaggio l’acqua è stata un problema. Oltre alle temperature avverse affrontate durante il viaggio, dopo il passaggio della Turchia finisce infatti quella che a tutti gli effetti si può chiamare la “bolla dell’acqua potabile europea”. In tutto il territorio asiatico l’acqua non è potabile, per bere la popolazione compra bottiglie e boccioni di acqua confezionata. Questo ha creato numerose difficoltà, in quanto Alberto e Dino viaggiavano molto leggeri e non potevano portarsi dietro troppe bottiglie. Un altro possibile ostacolo doveva essere la lingua, invece è stato più facile del previsto: «Abbiamo attraversato parecchi stati e incontrato numerose persone e non tutti parlavano inglese. Per nostra fortuna però farci capire non è mai stato un grosso problema: un po’ a gesti e un po’ grazie a internet siamo sempre riusciti a farci comprendere da chi incontravamo. – dice Fiorin – L’unico problema sono stati i cartelli stradali, ma se vedevamo che la distanza scritta in numeri diminuiva allora sapevamo di essere sulla buona strada». Alberto racconta poi come è stato viaggiare per tutti questi stati. La diversità di culture e di usanze ha fatto sì che la dieta del buon atleta venisse meno in favore di un ampliamento di gusti e conoscenze di sapori. Molte volte Alberto e Dino si sono trovati a mangiare carne di montone e di agnello, non molto consigliate quando si fa attività fisica in quanto sono molto grasse: «Abbiamo avuto modo di assaggiare l’ayran, una bevanda che dalla Turchia all’Asia centrale è sempre presente, composta da yogurt diluito con acqua e sale. È la bevanda per eccellenza, e in Turkmenistan abbiamo assaggiato l’ayran di dromedario. In Cina abbiamo mangiato benissimo per esempio, sano e poco fritto. È stata una splendida esperienza culinaria ma sicuramente ho perso qualche kilo».
I 100 giorni di viaggio hanno costretto i due ciclisti a 82 tappe con 17 giorni di pausa, durante le quali hanno avuto possibilità di interfacciarsi con la cultura locale e di poter partecipare ad alcuni incontri organizzati, a volte dall’Ambasciata Italiana, a volte da iniziative locali. A Sofia per esempio l’Istituto Italiano di Cultura ha organizzato una proiezione di un film sul ciclismo e hanno potuto parlare del loro viaggio alle persone presenti. «Abbiamo cercato di far convivere la nostra volontà di viaggiare con la volontà di vedere, scoprire e ammirare i musei lungo il tragitto». Arrivati a Pechino, il 1 agosto, sono stati accolti dall’Ambasciata Italiana, che per omaggiarli ha organizzato una festa, chiamando a raccolta giornalisti italiani e cinesi. Hanno potuto vedere finalmente una statua e un ponte dedicato a Marco Polo: a Venezia infatti non si trovano né musei, né statue o ponti a lui dedicati, malgrado la città sia rinomata per i numerosi ponti. «Siamo stati seguiti dal Decimo ufficio della diplomazia sportiva, ufficio appena istituito dal ministro degli esteri Tajani, e ci ha fatto molto onore. Questo ufficio è lo stesso che ha premiato la nazionale di pallavolo femminile a Roma e che ha insignito del ruolo di “Ambassador dello sport italiano nel mondo” il Giro d’Italia».
Aver compiuto questo viaggio con Dino per Alberto non è stata solo una pedalata tra amici, ma ha assunto toni più simbolici: il New York Times per esempio ha dedicato loro un articolo e sono stati contattati da Rai 1 mattina: «Siamo tuttavia consci di non aver fatto niente di speciale, anzi, il messaggio che ci piace portare è che ognuno può farcela. – prosegue Fiorin – Certamente bisogna essere un poco allenati ma non siamo eroi o persone straordinarie, se si sta bene e si ha passione si può fare. Sicuramente serve un motivo per arrivare fino in fondo e il nostro era quello di omaggiare Marco Polo». Quella da poco compiuta non è stata la prima esperienza per Alberto e Dino. Hanno infatti pedalato anche in Patagonia e, sempre partendo da Venezia in bicicletta, sono arrivati fino a Capo Nord per omaggiare Pietro Querini. Quest’ultimo in Cina però è stato il loro viaggio più lungo: «Quando si finisce un viaggio si pensa subito al prossimo, forse perché si vuole rivivere quelle emozioni che si stanno provando e prolungarle il più possibile. – conclude Fiorin – Di solito si ha sempre un’idea nel cassetto ma questa volta vorrei far decantare un po’ le sensazioni e le emozioni provate durante il viaggio. Mi riposo un po’ ma tornerò presto in sella».
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