
Chiunque conosca anche solo superficialmente la storia di Venezia sa quanto la sua mitologia fondativa, la tradizione mercantile e l’estetica architettonica riflettano un profondo legame con l’Oriente. Ma non tutti sanno che, nel Cinquecento, la città lagunare si trasforma in un centro del Nuovo Mondo: non per gli scambi commerciali, ma per la crescente tradizione della stampa cartografica. Sebbene siano pochi i veneziani ad aver messo piede nelle Americhe, scrittori, editori, cartografi ed incisori iniziano alimentare una visione veneziana dell’espansione europea. Mappe, libri e stampe reinterpretano le scoperte d’oltreoceano alla luce della storia della Serenissima. Colombo viene accostato a Marco Polo, Venezia a Tenochtitlán e le popolazioni indigene vengono descritte in termini familiari, quasi come una controparte americana degli italiani. L’analisi della produzione culturale veneziana del Cinquecento suggerisce come la città lagunare abbia costruito un proprio immaginario, intrecciando il Nuovo Mondo con la sua stessa identità e proiettandosi idealmente al centro delle esplorazioni globali. In occasione del ciclo “Le lezioni di storia: la storia del libro a Venezia” promosso da Progetto Rialto e Lineadacqua, l’ordinario di Geografia all’Università Ca’ Foscari Francesco Vallerani ha introdotto il suo pubblico “nell’immaginazione dell’altrove a Venezia tra XV e XVII secolo”.
A San Marco, nel campo della chiesa di San Giuliano, c’è un monumento dedicato al medico e filologo Tommaso Rangone. Un arco incornicia una lunetta sopra il portale della chiesa, al cui interno si trova una statua che lo raffigura seduto nel suo studio. Originario di Ravenna, Rangone si stabilisce a Venezia nel 1528 e, nel corso della sua carriera, diviene docente all’Università di Padova, astrologo, astronomo, medico della flotta veneziana e consulente della Repubblica in materia di sanità. Appassionato collezionista, nella sua biblioteca accumula globi, carte geografiche e mappe delle Americhe, oltre a pietre preziose provenienti dal Nuovo Mondo. Le sue ambizioni come procuratore della chiesa di San Giuliano lo portano a rivolgersi all’architetto Jacopo Sansovino per la realizzazione della statua. L’opera commissionata lo celebra in modo strategico e calcolato: Rangone è circondato d’iscrizioni in latino, greco ed ebraico, assieme ad un leggio, un globo celeste e altri elementi architettonici classicheggianti in pietra d’Istria. Sansovino inserisce anche un oggetto insolito: un globo terrestre che mostra l’Atlantico con la costa orientale del continente americano in risalto. La mano di Rangone, estesa sotto il globo, stringe un ramo tridimensionale di guaiaco, una pianta medicinale originaria dell’America Centrale considerata utile nella cura della sifilide. «A metà del Cinquecento, la cultura e l’erudizione a Venezia non si esprimevano più soltanto attraverso il linguaggio del classicismo», commenta Vallerani, «ma anche attraverso una retorica di apertura globale ed un immaginario legato alle scoperte nel Nuovo Mondo».
Tra il XV e il XVII secolo, Venezia non è solo un crocevia diplomatico, ma anche un centro editoriale di primo piano. La città lagunare ospita una vivace rete di intellettuali e tipografi che pubblicano un gran numero di testi sulle Americhe. Le informazioni si diffondono grazie alla traduzione di opere iberiche che contribuiscono a far conoscere il Nuovo Mondo ad un pubblico più ampio: la scoperta di terre sconosciute avviene soprattutto attraverso la lettura. «La studiosa Elisabeth Horodowich, nel suo libro “The Venetian Discovery of America”, li definisce “armchair travel”, letteralmente “viaggi da salotto”», suggerisce Vallerani, «ovvero una sintesi d’informazioni aggiornate tratte da una moltitudine di viaggi ed esplorazioni a portata del lettore». L’Età delle Scoperte è vissuta più tra le pagine dei libri che nell’esperienza diretta: mappe, resoconti di viaggio e immagini alimentano la curiosità di chi non può partire. I tipografi veneziani trasformano il Nuovo Mondo in un fenomeno culturale accessibile attraverso la stampa. Tra le pagine, gli europei conoscono terre inesplorate, incontrano popolazioni sconosciute e si appassionano a storie di conquiste, senza mai mettervi piede.
Benedetto Bordone, miniaturista, incisore e cartografo attivo a Venezia nei primi decenni del XVI secolo, pubblica nel 1528 “Isolario nel qual si ragiona di tutte l’isole del mondo, con li lor nomi antichi et moderni, historie, fauole, et modi del loro viuere, et in qual parte del mare stanno, & in qual parallelo & clima giacciono”. L’opera raccoglie mappe e descrizioni di isole sparse per il globo con tono enciclopedico e divulgativo, destinato non ai navigatori, ma ad un pubblico di lettori desiderosi di scoprire il mondo senza solcare i mari. Tra le 112 illustrazioni presenti nell’isolario di Bordone, spiccano due vedute urbane: Venezia e Tenochtitlán, uniche città-isola del volume. Queste mappe, molto più dettagliate rispetto alle altre, mostrano paesaggi urbani intricati, con ponti di legno, corsi d’acqua e agglomerati di edifici. La raffigurazione di Tenochtitlán s’ispira alla pianta pubblicata nel 1524 a Norimberga come parte della seconda lettera di Hernán Cortés a Carlo V. Tuttavia, Bordone rielabora il disegno originale eliminando i riferimenti alla violenza e alla religione azteca. Dove la mappa di Cortés mostra sacrifici umani, Bordone preferisce una rappresentazione più pacifica e ordinata, in linea con la sua immagine della Serenissima. Il risultato è una città idealizzata e “venezianizzata”, con piazze e templi che ricordano le architetture europee. «La lunga tradizione della cartografia veneziana configura la città lagunare non solo come cuore pulsante dell’editoria», conclude Vallerani, «ma anche come perfetta rappresentazione del cosiddetto “teatro del mondo”».
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