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Impianto di riciclo di pannelli fotovoltaici a Marghera

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Il progetto nato dalla startup 9-Tech è quasi in dirittura d’arrivo per la realizzazione dello stabilimento

Dalla passione e amore per la ricerca di Pietrogiovanni Cerchier, nata fra i banchi dell’Università di Padova, alla costruzione di un impianto per il recupero di materiale da pannelli fotovoltaici esausti. E’ questa la parabola di 9-Tech, la startup innovativa creata dal giovane ingegnere e ricercatore, che partito dall’ostinazione e convinzione delle proprie idee, sta concludendo i test su una versione pilota in miniatura che sarà il modello su cui ne verrà realizzato uno reale, otto volte più grande in via della Geologia, nella zona industriale di Porto Marghera.

La struttura verrà realizzata grazie alla collaborazione fra 9-Tech, Veritas e Haiki Mines (Gruppo Innovatec) che attraverso il progetto PV Lighthouse”, finanziato attraverso fondi PNRR, realizzerà in Veneto il primo impianto innovativo per il recupero di pannelli fotovoltaici a fine vita, arrivando a recuperare e riciclare fino all’87% delle materie prime di cui sono composti i pannelli, dando una forte spinta all’economia circolare nel settore delle energie rinnovabili da tecnologia fotovoltaica. La catena di lavorazione, dopo la conclusione dei test e dei processi autorizzativi, sarà a regime entro 14 mesi, con tutta probabilità quindi entro la fine del 2025.

La storia di 9-Tech, la startup dietro all’impianto

«L’azienda è nata a gennaio 2020 – racconta Cerchier – da un’idea che mi ossessionava, sviluppata a partire dal mio percorso di studi e soprattutto dalla mia tesi di dottorato su come recuperare metalli da rifiuti elettronici. Dopo aver ottenuto un assegno di ricerca per portare avanti un progetto sui pannelli fotovoltaici, una volta terminato né l’università né l’azienda partner avevano intenzione di continuare questa sperimentazione. Io però mi ero fissato su questi processi e credevo nella loro fattibilità, anche se la tecnologia non era ancora funzionante per me era possibile realizzarla e rendere l’intero processo vantaggioso in termini economici e ambientali. Così ho aperto un’azienda mia per continuare».

«Inizialmente non sapevo bene cosa avrei fatto – aggiunge – l’azienda era nata da un progetto su carta, ma essendo solo io operativo, oltre a due miei soci, non avevo grandi costi fissi. Frattanto avevo scritto una proposta che aveva vinto un finanziamento di Eit RawMaterials, un ente privato che collabora con l’Unione Europea che si occupa di ottimizzare le catene di valore delle così dette materie critiche, ovvero materiali preziosi per il riuso in Europa. Così ho avuto i primi fondi per costruire il nostro dispositivo sperimentale pilota. Intanto Veritas aveva aperto il proprio centro ricerche Green Propulsion Laboratory (GPLab), così abbiamo potuto insediarci qui dove ho ricevuto l’aiuto di Francesco Nisato, tecnico dell’azienda. Non avevo i soldi per far fare l’impianto pilota, così insieme, tra flessibile e saldatore, lo abbiamo letteralmente costruito noi».

Il progetto PV Lighthouse per creare un impianto industriale di recupero

«Dovendo occuparci di rifiuti a tutti gli effetti, una volta infatti che i pannelli vengono conferiti alle aziende specializzate lo diventano – spiega il giovane ingegnere – anche solo per i test era necessaria un’autorizzazione, che abbiamo richiesto alla Regione per classificare il nostro come impianto sperimentale. La procedura ha richiesto quasi un anno di tempo e nel 2022 quando eravamo pronti finalmente a partire abbiamo vinto il premio Climate InactionESG di Banca Intesa, che ci ha permesso di finanziare le messe a punto specifiche e proseguire lo sviluppo sul trattamento del silicio, spingendo Depuracque, società del Gruppo Veritas, a entrare nella compagine societaria».

«La richiesta autorizzativa per l’insediamento industriale è stata accompagnata dalla presentazione del progettoPV Lighthouse” assieme a Veritas e a Haiki Mines, un’azienda che si occupa di smaltimento rifiuti, che ci ha cercato per migliorare i processi di recupero dei pannelli – chiarisce – questo progetto prevede infatti il passaggio dalla scala pilota a quella industriale, realizzando un impianto nel terreno antistante GPLab di Veritas, dando vita a un nuovo polo dedicato all’economia circolare basato su recupero e ri-uso che potrà rivoluzionare questo settore». Lo stabilimento, che seguirà i principi di Industria 4.0, userà il trattamento termomeccanico in grado di separare tutti i componenti, su brevetto di 9-Tech.

I materiali che si possono estrarre dai pannelli fotovoltaici

L’impianto potrà trattare 3.000 tonnellate all’anno di pannelli fotovoltaici a fine vita, recuperando circa 350 tonnellate di alluminio, 2.000 di vetro, 24 di nastri in rame e 84 di silicio, inoltre un sistema chimico dedicato permetterà di separare anche materiali preziosi come l’argento, presente nelle giunzioni tra le celle fotovoltaiche. Gli scarti saranno esclusivamente polimeri e frazione fine di polvere. «Il vantaggio non è solo nel recupero a peso – spiega Cerchier – ma sta nella qualità del materiale soprattutto per il silicio, che alla fine del processo resta di elevata purezza e verrà indirizzato in filiere industriali che potranno valorizzarlo nuovamente, per questo stiamo anche lavorando con l’ENEA (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), sul progetto Parsival finanziato sempre da EIT RawMaterials, per ottenere delle polveri sotto al micron per renderlo utilizzabile negli anodi delle batterie per migliorarne le prestazioni».

«Progressivamente sia la domanda di materiali per produrre pannelli che il numero di esemplari a fine vita da gestire aumenterà – conclude il ricercatore – le 3000 tonnellate che puntiamo a trattare a Marghera corrispondono grosso modo a 150.000 pannelli, che mediamente rappresentano gli impianti di circa 12.500 case. Anche se un pannello è ormai garantito 25 anni, fra i possibili danni da grandine o fenomeni straordinari e l’aggiornamento della tecnologia per gli impianti fotovoltaici industriali, il materiale non mancherà, quello manca al momento è una normativa che definisca quando un pannello è sicuro e quando è classificabile come rifiuto al calare delle proprie performance. Noi puntiamo a restare un’azienda di ricerca e sviluppo sperando che Depuracque possa diventare il nostro braccio operativo per la realizzazione di altri impianti oltre a quello che creeremo a breve a Marghera, il nostro obiettivo sarà vendere siti industriali di questo tipo in tutta Europa».

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