Quando si pensa al concetto di “cura” la moda non è probabilmente il primo ambito che viene alla mente, se però si allarga l’orizzonte sul significato stesso dell’azione del prendersi cura, oltre che alla parola in sé, ecco che allora si può scoprire come questa dimensione abbracci anche l’economia, la società e la cultura oltre all’assistenza classica. «Assieme alla collega antropologa Veronica Redini, abbiamo organizzato una due giorni a cerchi concentrici, alternando relazioni a discussioni, attorno a questo macro-tema» racconta Alessandra Vaccari, docente di storia della moda all’Università Iuav di Venezia.
Il convegno dal titolo “Interdipendenze, la cura come responsabilità”, ospitato nell’aula magna dell’università e organizzato col supporto del Ministero della Cultura, si è svolto per due giornate dal 30 novembre al 1 dicembre e ha visto la partecipazione di decine di ricercatori e docenti provenienti da ambiti differenti, con l’intento di esplorare il concetto di cura espresso attraverso pratiche che creano e rinsaldano legami fra le persone e vari contesti di vita, spostando l’attenzione dall’individuo a una presa di responsabilità e impegno verso gli altri e l’ambiente, in un’ottica di nuova creazione di comunità basate sul benessere collettivo.
Filo conduttore della due giorni di dialogo è un approccio che mescola discipline e tematiche diverse, dalle questioni di genere all’ecologia. «L’idea che ci ha ispirato è quella di una cura universale, che metta in relazione aspetti umani e non, secondo una dimensione allargata di questo concetto che includa anche la società civile e gli operatori economici come le imprese – spiega Vaccari – in questo modo siamo passati da affrontare temi come le “doule” che accompagnano le donne al parto alla moda e cultura, focalizzandoci su come la creatività possa essere una pratica terapeutica e oggi non possa prescindere dalla sostenibilità. Ad esempio la relazione di Silvia Gambi ha parlato di un nuovo concetto di moda, che fa stare bene e supera l’idea di benessere inteso solo come profitto».
«Dopo un periodo come la pandemia, in cui sono emerse molte fragilità e forse è diventato dominante un bisogno di prendersi maggiormente cura di noi stessi e di quello che abbiamo intorno, come evidenziato dall’opera “Manifesto della cura” del Care Collective a cui ci siamo ispirati nei principi, rafforzando un’idea di assistenza universale – continua la docente – che superando il concetto che questa sia un’esclusiva del genere femminile e della famiglia tradizionalmente intesa, sposti il focus anche sull’ambiente e una prospettiva più ampia che si basa sulla responsabilità. Per esempio, Luigi Fassi, direttore di Artissima, famosa fiera d’arte di Torino, è intervenuto ricordando che il sapere stesso, senza l’ambito della cura, non ha ragione di esistere, come riportava l’antropologo brasiliano Renzo Taddei nei suoi studi sugli indios».
«Non vogliamo trascurare la dimensione spirituale e umana in favore di un approccio esclusivamente scientifico nel concetto di prendersi cura, ma riallacciare alcuni fili con sé stessi e il mondo che ci circonda può essere un pratica che tutti i giorni possiamo impiegare per fare letteralmente “manutenzione” dell’esistente – aggiunge la storica della moda – in avvio del convengo il professor Piercarlo Romagnoni ha ricordato come l’idea di costruire non deve essere legata solamente a qualcosa di nuovo, ma anzi, possa significare anche mantenere ciò che abbiamo fatto e costruito».
«Questa sistemazione può partire da piccole cose – spiega Vaccari – anche dal proprio guardaroba che per esempio, con la spinta dell’Unione Europea, in un futuro prossimo potrà beneficiare del così detto “diritto alla manutenzione” per cui le aziende dovranno garantire la riparazione dei capi, aumentando la consapevolezza di avere una coscienza verso gli oggetti, avendo il dovere di occuparci di quello che abbiamo acquistato. Come ha ricordato Angela Vettese, parlando delle relazioni fra arte e natura, questa idea di cura che considera una componente spirituale, costringe l’uomo a ripensare la sua posizione da centro dell’universo a parte di un sistema, in cui i gesti di tutti i giorni possono favorire il bene comune, una pratica che funziona solo se ognuno fa la sua parte».
«Le dipendenze fra persone, natura, materie prime, economia e società sono i concetti centrali che abbiamo considerato per tutto questo percorso in cui abbiamo cercato un collegamento fra discipline che hanno unito la piccola imprenditoria della moda con la cura degli anziani, l’assistenza alle partorienti con il mondo dell’arte – aggiunge la professoressa – tutto si basa su etica ed estetica in prima battuta, quella che è emersa è la proposta di adottare un pensiero post-umanista che abbracci l’idea di un’umanità con un ruolo al centro dell’ambiente e non viceversa, l’unica soluzione per fronteggiare gli squilibri della crisi che abbiamo di fronte. Come persone la nostra vita ha senso solo se capiamo che siamo parte di un sistema e non il sistema stesso».
«In termini di cura degli altri e del mondo abbiamo molte sfide davanti – conclude Vaccari – questa dimensione non si esaurisce pensando solo a sé stessi, parlare di sostenibilità non ha senso senza riconoscere il bisogno di un cambiamento del comportamento quotidiano. Non basta dire o insegnare alle persone di avere cura degli altri e di tutto il resto oltre a sé, quello che serve è un approccio sistemico. La gente non cambierà il proprio modo di curarsi del mondo solamente perché qualcuno glielo dice, è necessario dare un esempio in prima battuta, anche da parte di soggetti istituzionali come politica e imprese. Gli indvidui sono l’ultimo anello di una catena più lunga, di cui va presa in considerazione l’intera lunghezza per coinvolgere realmente tutti».
C.I.D. s.r.l. Società a Socio Unico – Casa editrice del settimanale Gente Veneta – CF e PI 02341300271 – REA: VE – 211669 – Capitale Sociale 31.000 euro i.v. – Dorsoduro,1 – 30123 Venezia
Iscriviti a GREEN&SALUS e non perderti nessun aggiornamento, ti invieremo 1 volta a settimana i nuovi articoli!