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La Basilica apre le porte ai reclusi con nuove opportunità di lavoro

L’accordo firmato tra Procuratoria e Casa circondariale di Santa Maria Maggiore permetterà ai detenuti, retribuiti regolarmente, di cimentarsi in molteplici mansioni, in base alle competenze personali. Il Patriarca: «Una persona che ha sbagliato deve avere la possibilità di riscattarsi»

Un accordo di collaborazione basato su tre punti: offerte di lavoro in Basilica per i reclusi ammessi a svolgere attività professionali all’esterno, in base alle mansioni disponibili. Visite guidate garantite al personale del carcere e ai detenuti autorizzati, e incontri organizzati nella Casa circondariale veneziana – per i ristretti – tenuti da collaboratori della Procuratoria, tra proiezioni e illustrazioni delle opere d’arte. È ciò che sta alla base del protocollo d’intesa fra Procuratoria e Santa Maria Maggiore, sottoscritto mercoledì, a Sant’Apollonia, alla presenza del Patriarca Francesco, del vicario del Prefetto, Piera Bumma, della presidente del Consiglio comunale, Ermelinda Damiano e delle sigle sindacali. «Vogliamo attuare i valori costituzionali, che riconoscono piena dignità anche alle persone recluse e che chiamano il Paese intero ad essere solidale nel favorire il loro reinserimento sociale – le parole del primo procuratore, l’avvocato Bruno Barel, specificando come la proposta sia aperta anche alle carceri femminili, nel caso in cui fossero interessate ad aderirvi, e a tutte le persone fragili –. Offriremo posti di lavoro tra i restauratori, gli operai, i carpentieri e la guardiania. Le opportunità d’impiego che abbiamo sono varie, tutto dipenderà dall’attitudine delle persone: vanno rispettati infatti la loro storia e i loro desideri».

La Basilica di San Marco
«I momenti più difficili per chi fa esperienza del carcere? L'ingresso e l'uscita»

Detenuti che saranno retribuiti regolarmente, secondo il contratto collettivo nazionale in vigore. «La Procuratoria di San Marco, attenta ai moniti del presidente Sergio Mattarella e di Papa Francesco – continua Barel – vuole dare un contributo concreto. Un ringraziamento va all’amministrazione penitenziaria e a tutte le altre istituzioni che stanno già operando nella stessa direzione, fra le quali Caritas diocesana e Cnel». Il primo procuratore non si è espresso sulla durata effettiva dell’accordo o nemmeno sul numero dei reclusi che verranno coinvolti nel progetto, lasciando intendere che, da parte della Procuratoria, la disponibilità a portarlo avanti per il futuro è piena, anche perché «abbiamo necessità di rinforzare le nostre squadre. Le persone da coinvolgere ci verranno indicate dal direttore della Casa di reclusione veneziana». «Il “bello” della Basilica, con i suoi mosaici, vogliamo metterlo a disposizione anche di quelle persone che hanno sbagliato e che cercano di recuperare se stesse – il messaggio condiviso dal Patriarca -. I due momenti più difficili, per chi fa esperienza del carcere, sono l’ingresso e l’uscita, segnata dalla paura di rientrare nella società, dove molte volte si sono tagliati dei ponti sia con le amicizie che con i familiari. Credo faccia parte di una società che non può essere demagogica riconoscere, ad una persona che ha sbagliato, la possibilità di una pena riabilitativa».

La Casa circondariale di Santa Maria Maggiore
L'abitare, tema su cui Diocesi e Caritas vogliono puntare

L’abitare, tema imprescindibile, «con la Chiesa veneziana che ci sta lavorando» in sinergia con la Caritas diocesana, nell’ambito della pena alternativa o di un periodo transitorio in attesa di tornare alla propria vita. Per le donne vi sono dei posti alle Muneghette (6 più uno per le emergenze) e «spero che alla fine dell’anno se ne garantiscano 8, agli uomini, nella Casa San Giovanni XXIII», riflette Moraglia. «Stiamo acquisendo in comodato d’uso gratuito un appartamento a Marghera per altri 4 posti per gli uomini e cercheremo di fare lo stesso con 2 stanze nella Casa d’accoglienza San Raffaele». Il “bello”, per il Patriarca, qualcosa che ha la caratteristica della gratuità e che consente anche di educare.

Da sinistra il primo procuratore Bruno Barel, il Patriarca Francesco Moraglia e il direttore di Santa Maria Maggiore Enrico Farina
Studio e lavoro per abbattere la recidiva

«La legge Smuraglia? Rende conveniente, per le imprese, investire nella rieducazione – evidenzia il direttore di Santa Maria Maggiore, Enrico Farina – Assumere una persona in detenzione comporta la possibilità di accedere ad un credito d’imposta di più di 500 euro, oltre che sgravi sui contributi Inps del 95%. Stiamo attuando collaborazioni con le Gallerie dell’Accademia e da un anno stiamo cercando di riavviare una struttura dismessa (l’ex Sat) alla Giudecca, da destinare ad una cinquantina di alloggi per poliziotti penitenziari. Il tutto grazie al lavoro dei detenuti, assunti e retribuiti». In collegamento, Renato Brunetta, procuratore di San Marco e presidente del Cnel, ha ricordato come la recidiva, che in Italia colpisce il 70% dei ristretti, scenda al 2% proprio grazie ad esperienze scolastiche o lavorative. «Stiamo modificando la legge Smuraglia, per ampliare e rendere la vita delle imprese più semplice – riferisce – quando intendono lavorare in carcere». Tra gli accordi siglati dalla Casa circondariale di Santa Maria Maggiore con le realtà del territorio, anche quello con l’Ulss 3 Serenissima, che da qualche mese ha permesso di dare lavoro ad alcuni ristretti nell’ambito del Cup (leggi qui). «Grandi opportunità in termini di reinserimento sociale – il commento di Damiano, presente a Sant’Apollonia, con riferimento alle sinergie che sono state strette – e un ritorno importante per tutta la comunità». Il vicario del Prefetto si è soffermata invece sul ruolo dell’arte, «che riapre gli orizzonti e che consente ai detenuti la possibilità di apprezzare il “bello” e avere un momento di speranza e fiducia per un loro reinserimento nella società».

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