
La condizione umana attraverso lo sguardo di Thomas Schütte in oltre cinquanta sculture e duecento disegni. Fino al 23 novembre, Pinault Collection presenta a Punta della Dogana “Genealogies”: la più ampia retrospettiva dell’artista tedesco mai realizzata in Italia. Nato nel 1954 a Oldenburg, Schütte ha dato vita ad un repertorio che, dagli anni Settanta a oggi, si rinnova senza sosta nell’osservazione inquieta e ironica dell’uomo. L’esposizione, curata da Camille Morineau e Jean-Marie Gallais, è un racconto visivo in costante metamorfosi fra modelli architettonici, disegni ed incisioni. Nelle sale, le forme consolidate si fondono con audaci sperimentazioni. «La carta sta all’origine del suo lavoro», sottolinea Gallais, «è un mezzo espressivo essenziale che si affianca alla scultura e la completa». Il percorso espositivo si muove con libertà attraverso il tempo, ricostruendo l’evoluzione artistica di Schütte. Le sue figure, talvolta astratte, talvolta iperrealistiche, si sviluppano attraverso il cambiamento di scala e materiali: busti monumentali, corpi intrappolati nella materia, teste solitarie o congiunte, figure femminili scomposte e presenze fantasmatiche. «In un’epoca dominata dal concettualismo, dal minimalismo e dall’astrazione, l’artista ha scelto di percorrere una strada autonoma, caratterizzata da una libertà creativa che negli anni Ottanta ha rappresentato una rottura con le tendenze dominanti», aggiunge, «la figura umana è al centro della sua ricerca e viene trattata spesso con accezione politica ed un tocco di umorismo, più o meno esplicito. Per parlare del presente, Schütte fonde riferimenti alla tradizione con materiali classici come vetro, argilla e bronzo. Attraverso le sue opere ha dato una nuova definizione all’arte contemporanea».
I “Geister” entrano nella produzione di Schütte a partire dal 1995 come apparizioni mutevoli ed inquietanti che sembrano emergere da un mondo sospeso tra il tangibile e l’etereo. Corpi fantomatici dai gesti amplificati, simili a figure di una pantomima silenziosa, modellati inizialmente in cera e poi trasformati in alluminio, bronzo o vetro, in un gioco incessante di variazioni e metamorfosi. I più monumentali si ergono come giganti enigmatici. Come i “Drei Ganz Große Geister”, i Tre Grandissimi Spiriti, che si affrontano con movenze inquiete, come guerrieri in un’arena o pugili su un ring, fissati da occhi invisibili. Tutt’intorno, altre presenze li osservano in silenzio: sono le teste dei “Wichte”, noti anche come “Jerks”, testimoni immoti di questo duello sospeso nel tempo. Sulle superfici dei “Geister”, il processo creativo si rivela con brutalità: i fili di cera intrecciati dall’artista restano impressi nelle forme, testimoniando la tensione del gesto che li ha plasmati. Schütte ha voluto lasciarli così, con la struttura di sostegno ben visibile sotto i piedi, un ancoraggio che li trattiene alla realtà affinché non si dissolvano nel vuoto.
Tra il 1997 e il 2006, Schütte si confronta con il corpo femminile ribaltando ogni aspetto della canone artistico. Le sue donne non posano né si offrono allo sguardo come muse ispiratrici. Sono corpi riversi su un piano orizzontale, figure deformate che sembrano sfidare il concetto stesso di anatomia. Da più di cento piccoli schizzi di ceramica, Schütte ne trae una selezione per ingrandirla e tramutarla in due sculture in alluminio dai contorni spezzati, adagiate su freddi tavoli d’acciaio. Non c’è seduzione, solo un’esposizione cruda che interroga lo sguardo dello spettatore. Più tardi, tra il 2009 e il 2017, Schütte torna alla figura femminile con un’ulteriore metamorfosi: le “Weinende Frauen”. Le “Donne piangenti” diventano fontane di bronzo, installate spesso alla convergenza di due muri. Nella prima, il volto è ancora riconoscibile, ma man mano che la serie prosegue, il legame tra titolo e forma si dissolve. Il viso si riduce ad un semplice ovale con tre fori appena accennati da cui sgorga l’acqua in un lamento flebile e continuo.
I due volti in vetro di Murano di “You and Me”, realizzati nel 2018, rivolgono il loro sguardo eternamente verso il cielo. La delicatezza del profilo femminile You è quasi irreale: la sua espressione pare evocare le antiche effigi egizie. L’uomo, Me, è più teso, con il viso leggermente ruotato, un accenno di capelli a spezzare la trasparenza del vetro, gli occhi chiusi come in un sonno profondo, forse assorti in un pensiero lontano. Sebbene l’autore non li consideri due maschere mortuarie, la loro collocazione su un piano li avvicina inevitabilmente a quell’antica tradizione. Tutt’attorno li circondano regine del blues e fiori di campo, impressi direttamente nell’inchiostro come segni spontanei durante il processo di stampa: una sorta di ready-made, omaggio provocatorio a Marcel Duchamp.
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