Una grande corona di spine invita l’uomo a specchiarsi e guardare dentro se stesso. È aperta ancora fino a domenica 26 la mostra allestita all’Abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia dal titolo “Belonging” dell’artista austriaca Helga Vockenhuber, da sempre attenta al profilo religioso dell’uomo e alla sua instancabile ricerca del legame interiore col mistero dell’essere. Proprio il giorno 26, alle ore 17, si terrà il finissage della mostra con il concerto del soprano Fabiana Magalhães e di Rui Soares che suonerà il monumentale organo Nacchini. La musica dialogherà con le opere della scultrice austriaca, nata a Mondsee nel 1963, che da sempre concentra il suo lavoro sulle questioni centrali poste dalle religioni del mondo, e in particolare sul percorso che l’uomo fa per trovare sé stesso e ricercare la sua pace interiore. Con le sue opere in bronzo ha intrapreso una ricerca sulla sensibilità spirituale del corpo umano, combinando al suo interno caratteristiche peculiari appartenenti a persone di origini diverse. Vockenhuber mira a rappresentare e trasmettere la dignità dell’uomo e il suo intrinseco mondo spirituale, evidenziando la sua unicità. L’iniziativa, a cura di don Umberto Bordoni, fa parte del programma culturale della Benedicti Claustra Onlus, di cui è direttore Carmelo Grasso, ramo no-profit della Comunità Benedettina che promuove e sostiene attività e progetti per lo sviluppo dell’arte e della ricerca artistica con una forte connotazione spirituale, per innescare nuovi orizzonti di evangelizzazione.
Fulcro della mostra è l’installazione di sette sculture in bronzo, eccezionalmente riunite ed esposte insieme, che compongono un’imponente corona di spine. Posizionate zenitalmente sotto la grande cupola palladiana e in relazione con la basilica, le opere, pensate come progetto site-specific, accolgono fedeli e visitatori nella Basilica di San Giorgio Maggiore invitandoli ad interagire. Le sculture, bronzi contorti e acuminati, si riflettono nello scuro specchio d’acqua: un cerchio scuro e magico, simbolo dell’infinito, che funge da perimetro con lo spazio sacro e sul quale le opere poggiano come sospese sopra l’abisso, richiamando l’acqua che esce dal costato di Cristo che benedice a vita nuova portando una riflessione sul fonte battesimale. In un’atmosfera raccolta e intima, il gioco dato dallo specchio d’acqua porta il visitatore a specchiarsi e vedere dentro se stesso, relazionandosi così all’opera.
L’installazione condensa un carico perturbante di sofferenza che è immediata memoria delle Reliquiae Passionis e della Historia Christi ed è, allo stesso tempo, rappresentazione della tragedia umana nel suo complesso. Helga Vockenhuber raccoglie il frutto di trent’anni di esplorazione artistica: abbandona la figura umana e concentra il suo lavoro attorno al segno cristiano della corona di spine, un’icona della fraternità ritrovata a partire dai frammenti della Passione. L’installazione rappresenta una sfida alle appartenenze, un’indagine sulla natura e sulla fragilità delle relazioni umane date da intrecci, torsioni, rotture, riavvicinamenti, affinità interiori e azioni performanti che caratterizzano il valore e il dramma del legame sociale. In un tempo di moltiplicazione esponenziale di strumenti e reti di connessione, l’isolamento dell’individuo, il distanziamento pandemico e la conflittualità bellica interrogano e sfidano i temi della coesione sociale e della fraternità.
Ad accompagnare le opere, un itinerario per immagini fotografiche a cura di Ägidius Vockenhuber (1991, Salisburgo), architetto e fotografo austriaco che vive e lavora a Vienna, nonché figlio dell’artista. Nelle sue sei fotografie in bianco e nero esposte, realizzate con metodo analogico con lunghe esposizioni e stampate su supporto di alluminio, Ägidius Vockenhuber attraversa alcuni archetipi dello spazio mistico: luce e ombra, acqua, alberi. Il suo itinerario individuale, percorso nei tempi del confinamento pandemico, intreccia la fotografia e l’architettura, l’interrogazione sulle radici della persona e sui cammini generativi di senso, e sfocia in uno spazio di condivisione e di rigenerazione, con il desiderio di ritrovare sacralità e trascendenza negli spazi fotografati. In un’altra sezione della mostra, Ägidius ha fotografato la madre al lavoro mentre realizzava la corona di spine. Nella Sacrestia Monumentale invece diverse sedute in legno con tronchi di rovere movibili sono disposte attorno ad un fonte battesimale, realizzato in alabastro, che accompagna il piccolo prototipo della corona di spine in bronzo. Infine, dietro l’altare maggiore una spina della corona è posta come una reliquia. Gli artisti intendono così suscitare una riflessione aperta con l’interiorità, con la natura, col prossimo e con Dio. La mostra, che i monaci stanno valutando un domani possa in parte restare permanentemente, è visitabile dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 18.
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