
La luce del Nord filtra silenziosa dalle finestre a dipingere morbide ombre sulle pareti vuote. Quando Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864-1916) arrivò alla Biennale di Venezia per esporvi era il 1903, e in laguna mise piede come artista tra i più riconosciuti dalla critica e dal pubblico. Sono rimasti pochi giorni per vistare la mostra, che sta affascinando e conquistando il pubblico, “Hammershøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia” allestita fino al 29 giugno a Palazzo Roverella a Rovigo, promossa dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che per la prima volta approfondisce il rapporto con l’Italia del più grande pittore danese della sua epoca. Il silenzio e la solitudine, resi con spirito prettamente nordico, sono la cifra pittorica della sua produzione, che si distingue per l’intimismo minimalista dei suoi interni domestici, svelati in un’atmosfera di una mesta calma aprente con una tavolozza basata su colori perlopiù tenui: grigi, terrosi, con rarissime accensioni. «Sono assolutamente convinto che un dipinto ha il miglior risultato, in termini cromatici, se ci sono meno colori» sosteneva il maestro che, dopo aver ispirato negli anni tanti artisti e anche registi del cinema da Dreyer, Bergman fino a Woody Allen, è stato riscoperto di recente al di fuori della Danimarca, anche se in vita aveva riscosso un successo europeo. Da personaggio quasi dimenticato, negli ultimi anni è diventato uno dei più richiesti dai musei e dal mercato in tutto il mondo. In mostra è esposto un nucleo di suoi capolavori, scelti dal curatore Paolo Bolpagni, fra i più rappresentativi ed emblematici, oggi di sempre più difficile reperimento vista anche la non vasta produzione.
Hammershøi impara a disegnare a otto anni, e poi a dipingere. Per coltivare il suo talento la madre, viste le possibilità della famiglia borghese benestante, lo fa seguire da maestri di fama. Studia poi all’Accademia Reale di Belle Arti Danese e frequenta dei corsi della Scuola di studio indipendente, dove ha come insegnante Peder Severin Kroyer. Non fu il solo artista in famiglia: anche il fratello minore Svend Hammershøi (Frederiksberg, 1873 – Copenaghen, 1948) diventò pittore, oltre che rinomato ceramista. Nelle tele del fratello compaiono boschi invernali e alberi scarnificati. Quello che lo accomuna a Vilhelm è la scelta dei colori, incentrata su toni bruni e grigi, smorzati e tendenti alla monocromia. Nel 1888 Hammershøi conosce il dentista Alfred Bramsen, che diventerà il suo principale collezionista, nonché amico, biografo e catalogatore e, durante un soggiorno estivo in compagnia, dipinge “Interno con vecchia stufa”, il primo degli interni vuoti che diventeranno sua cifra distintiva, portandolo fino al capolavoro “Luce del sole nel salotto III” del 1903. Dal settembre del 1898 e fino al 1909, Vilhelm e la moglie Ida abitano in un appartamento al primo piano di un edificio seicentesco ubicato al numero civico 30 di Strandgade, una delle vie principali del centrale quartiere di Christianshavn a Copenaghen. L’austera casa dalle pareti spoglie diventerà il soggetto principale delle scene d’interno di Hammershøi, dove la poetica del vuoto e della luce che lo renderà celebre giunge alla piena maturazione. Anche altri pittori realizzavano opere che avevano per oggetto dismessi interni domestici, come il francese Charles-Marie Dulac e il belga Georges Le Brun, ma questi avevano una luce calda e un’atmosfera serena.
Pochi sono i ritratti che Hammershøi realizzò, e solo di persone a lui care quali la sorella, la madre, il fratello, l’amata Ida, gli amici, nonché il figlio del generoso mecenate Alfred Bramsen, Henry, violoncellista della cappella reale danese. «Non mi piacerebbe fare il ritrattista: non mi interessa che sconosciuti vengano a trovarmi e mi commissionino il loro ritratto. – sosteneva – Per dipingerli, servirebbe che li conoscessi bene». Quella di Hammershøi è infatti una ritrattistica anticonvenzionale. Colpisce in mostra il ritratto frontale di Ida del 1890, un precoce capolavoro realizzato quando era ancora sua fidanzata. Gli occhi della giovane donna mostrano uno sguardo assente e il colore della giacca che indossa si confonde con quello dello sfondo. Questo perché Hammershøi non vuole attribuire a Ida un determinato stato psicologico. Eppure, proprio grazie a questo, l’immagine trasognata della ragazza colpisce e s’imprime con forza in chi osserva. Nell’opera del 1911, poi, Vilhelm e Ida appaiono insieme riflessi in uno specchio, e la moglie, come spesso avveniva, è ripresa di spalle, come a sottolineare un senso di incapacità comunicativa in cui non c’è disperazione, ma una pacata e malinconica accettazione. Se le presenze alla Biennale di Venezia del 1903 e 1932 servirono per confermare la fama e il prestigio acquisito, la luce della laguna però, da cui molti pittori vengono ancora oggi rapiti, non modificò la sua raffinata poetica, che rimase connotata da quei toni grigi e malinconici, rimanendo fedele a se stesso. Nel 1911 partecipò all’Esposizione Internazionale di Roma con il capolavoro in cui raffigurava la moglie di spalle con i capelli raccolti e la nuca scoperta, con insolita sensualità. Roma parve lasciare il segno: il sole del meridione rense l’unica sua opera ambientata in Italia, “Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma” realizzata ancora nel 1902, con colori leggermente più caldi.
La sua poetica, che pone al centro il tema del silenzio, si allarga dai suoi dipinti a quelli di altri artisti a lui coevi e della generazione successiva, tanto che dai pacati interni danesi si arriva alle vedute urbane deserte e ai notturni desolati che tanta fortuna ebbero in Francia, Belgio e Italia negli anni in cui visse Hammershøi. In mostra vengono così analizzati pittori affini ad Hammershøi per sentire artistico, fino ad arrivare a quei pittori del silenzio, che tra la fine del’800 e i primi anni del ‘900 realizzavano opere malinconiche e immobili in ambienti naturali. Tra questi, non mancano in mostra due opere di Umberto Moggioli che, sempre con fare contemplativo, esprime il desiderio di meditazione e una predilezione per i luoghi silenziosi e solinghi, come fu per lui l’Isola di Burano, che trovano esempi in mostra nelle opere “L’isola del silenzio” e Giardino al tramonto”. L’ultima sala presenta un tributo alla pittura di Hammershøi del fotografo spagnolo Andrés Gallego, che nelle sue fotografie evocative e minimaliste ha ricreato le scene degli interni delle opere del pittore danese, talvolta con la presenza come modella della moglie, proprio come Hammershøi faceva con la sua musa Ida.
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