«Sei felice? Come stai? Come vivi? Sono queste le prime cose che chiederei a Marco (N.d.r. nome di fantasia), che oggi avrà circa 30 anni», riflette Carla Forcolin, pensando agli ultimi 25 anni di storia dell’associazione da lei fondata, La Gabbianella e altri animali. Ma chi è Marco? «Anche se oggi, dopo molti anni ho passato il testimone alla Presidente Anna Sacerdoti, l’associazione mi nacque letteralmente fra le mani dopo un’esperienza con questo bimbetto che avevo incontrato in una struttura per mamme ex tossicodipendenti di Venezia. Conoscerlo è stato l’inizio di tutto, anche se non l’ho più rivisto, in qualche modo è grazie a lui se oggi questa realtà è ancora qui e continua il suo impegno verso l’adozione, l’affido e il supporto ai bambini figli di detenuti».
L’associazione nasce nel 1999 a Venezia per facilitare i processi di adozione e affido, ricercando ed educando a questo percorso genitori adottivi e affidatari. In seguito ha iniziato a supportare il Comune nell’accompagnamento al nido dei figli delle detenute del carcere femminile della Giudecca. Da questa esperienza nasceranno altri progetti dedicati ai bimbi che ruotano al sistema carcerario e l’impegno per superare gli aspetti anacronistici delle norme di legge che regolano affidi e adozioni, per cercare di favorire la condizione di tutti quei bambini potenzialmente pronti a essere accolti da altre famiglie e superare la burocrazia e la lentezza del sistema legislativo italiano. Anche se molto è stato fatto, c’è ancora strada da fare per migliorare le condizioni di questi minori, per questo ci si augura che la vita dell’associazione sia ancora lunga.
«Ho incontrato Marco per puro caso – racconta Forcolin – per sostituire un’amica che partecipava a un progetto dell’AUSER di supporto alle mamme ex-tossicodipendenti a Venezia che si chiamava “Nonne per scelta”, con l’obiettivo di alleggerire e lasciare del tempo a queste ragazze. Appena arrivai, un piccoletto di appena un anno e mezzo cercava a fatica di fare dei gradini, i nostri sguardi si incrociarono e fu amore a prima vista. Prese le sue scarpette e me le mise sul grembo dicendomi “tatai”, che poi capii che significava “andiamo fuori”. Da quel momento andai tre volte a settimana a trovarlo fino alle vacanze estive. Quando tornai per rivederlo si buttò giù da una altalena, rischiando di farsi male, per corrermi incontro, era mogio, non rispondeva ma mi stringeva. “Sua mamma non c’è più perché lui è stato cattivo”, disse una bambina che aveva visto la scena».
«In realtà la madre era ricaduta nella dipendenza ed era stata allontanata dalla struttura – prosegue – quando lo venni a sapere lo chiesi in affidamento, ma frattanto la mamma aveva deciso di darlo in adozione, non aveva neanche 3 anni ma io da divorziata non potevo adottarlo. Il bambino percepiva tutto questo ed era disperato, ma frattanto una coppia si fece avanti per adottarlo. Con sorpresa un giorno mi chiamò la madre adottiva per dirmi che il bimbo non si dava pace perché voleva parlare con me, mi strillò “veni” al telefono. Dopo qualche mese ricevetti il permesso di salutarlo, lui continuava a chiedere di me, tanto che mi offrii come baby sitter, ma la coppia non ne volle sapere, forse per paura di non riuscire a trovare un equilibrio famigliare. Io lasciai perdere ma scrissi a vari giornali per dire con forza che tutto questo non era giusto, che la legge aveva delle storture. Risposero altre donne raccontando le loro storie di mancate adozioni ed è da qui che nacque il primo nucleo dell’associazione, non ho più visto Marco ma gli ho dedicato un libro e in un secondo mi sono immaginata il nostro incontro».
«Dal 1999 sono cambiate un po’ di cose fortunatamente – spiega la fondatrice – diverse coppie hanno potuto adottare senza più regole assurde come quella della differenza di età fra i coniugi, in qualche modo la politica ci ha ascoltato ma la legge 149 del 2001 ha ancora molti margini di miglioramento. Io frattanto ho avuto diversi bambini in affido, da una bambini rimasta orfana di mamma a una seconda ragazzina di 13 anni con il papà in carcere che oggi è diventata mamma (di cui ho raccontato le difficoltà nel libro “I figli che aspettano”), fino a una coppia di splendidi gemellini nigeriani, anche se non pensavo di farcela, non sono riuscita a dire di no dopo aver visto come mi guardavano».
«I piccoli avevano la mamma in carcere – continua – non mi sono mai pentita di averli presi anche se non mi facevano dormire la notte! Dopo un difficile periodo iniziale è nato un amore grandissimo, sono rimasti con me un anno e mezzo, fino a che la mamma non andò in casa famiglia, ma continuavo a vederli perché venivamo a trovarmi di giorno. Li ho portati al mare d’estate insegnandogli a nuotare, ad andare in bicicletta e addirittura a sciare, tanto che hanno vinto una gara battendo dei bambini tedeschi. Compiuti i 6 anni la madre è tornata in Nigeria per la pressione del marito, che non aveva mai visto i piccoli, una volta lì sono più rientrati, è stato uno strappo terribile (lo racconto nel libro “Mamma non mamma”) e mi ero anche recata in Africa senza convincere il padre a farli tornare. Dopo 12 anni, grazie a un sacerdote nigeriano a Venezia, ho ricevuto una video chiamata e li ho rivisti, ormai grandi. Stanno cercando di avere un visto sul passaporto per venire a trovarmi, con una procedura estenuante per costi, complicazioni e durata».
«Affido e adozione sono due istituti ben differenti – chiarisce Forcolin – se il primo è temporaneo, il secondo è per sempre. Quando un bambino viene adottato e non ha ricordo della famiglia è solo che felice, ma se ha il ricordo può vivere il “dramma di lealtà” rispetto al nucleo di origine, che può rendere il rapporto con il nuovo più conflittuale, un sentimento che spesso è presente anche nell’affido. Nella mia esperienza però sono contenti quando c’è un rapporto armonioso tra famiglia naturale e chi li prende in casa. Ogni situazione è però unica, le adozioni internazionali in Italia sono sempre meno visto che i principali Paesi da cui venivano i bambini erano Russia, Ucraina, Bielorussia e Cina ma anche quelle ordinarie al 2021 erano solo 886, viste tutte le restrizioni presenti. Se poi si riesce in questa “impresa” molto dipende dal rapporto che si instaura, una coppia può uscirne rafforzata, superando le difficoltà, oppure finire in una crisi profonda, spesso perché questi bambini richiedono attenzioni speciali che emergono nel corso dell’adolescenza».
«L’associazione è nata per affrontare questi temi – conclude – oltre che quello dei minori figli di chi si trova in carcere. Nel 2001 sono stati chiusi gli istituti in favore del nuovo modello delle “Case famiglia” anche per i bambini adottabili, c’è stato un miglioramento nella loro gestione, ma non si tratta comunque di un contesto dove un minore possa ricevere un affetto personalizzato, lì ci sono bravissimi operatori ma non genitori. La pressione mediatica poi di alcuni casi, come quello di Bibbiano, ha influito anche sugli affidi che sono diminuiti. Da questa situazione non se ne esce con una bacchetta magica ma con un dialogo fra tutte le parti, un giudice quando decide il futuro di un bambino deve poter avere davanti a sé tutti gli elementi e i punti di vista delle parti in gioco, ascoltando anche chi ha rapporti coi minori come gli insegnanti e gli educatori, ma andrebbe migliorata anche la tecnologia visto che le banche dati dei tribunali, che comprendono i minori che potrebbero trovare una famiglia con le coppie che si rendono disponibili, non sono in dialogo fra loro. Noi nel nostro piccolo abbiamo lavorato ben 16 anni per l’accompagnamento a scuola dei bambini che vivono come detenuti coi genitori. I minori ci insegnano che il loro destino non è per forza segnato, ma dobbiamo permettere di poterli aiutare, sarebbe un enorme progresso per il nostro Paese».
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