«Mai come oggi l’interesse per il futuro è così pressante – inizia così Antonio Marcomini l’incontro “Futuri sostenibili di Venezia e della sua laguna”, ospite del Rotary Club Venezia Mestre lo scorso 16 gennaio – la minaccia più pericolosa è quella del cambiamento del clima, che sta progredendo a una velocità mai conosciuta nella storia dell’umanità, costellata da emergenze. Non ci è ancora chiaro dove ci porterà ma quello che abbiamo capito è che l’instabilità climatica non è solo ambientale, ma anche economica e sociale, dobbiamo prepararci a un cambiamento che non sarà più rimandabile e anche Venezia e la sua laguna, potrebbero non essere come le abbiamo conosciute fino adesso, ma non è per forza detto che sia un male, dipende da come affronteremo queste grandi sfide».
Antonio Marcomini è Professore Ordinario di Chimica dell’Ambiente presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, è stato membro di comitati di esperti di chimica e valutazione del rischio ambientale, dal Ministero dell’Ambiente all’ex Magistrato alle Acque di Venezia, passando per incarichi internazionali in realtà come la Fondazione Europea della Scienza e l’Agenzia Europea per l’Ambiente. «Siamo chiamati a progettare il futuro in tempi rapidi – ha aggiunto – qualsiasi futuro parte dal presente, ma per conoscere bene i tempi in cui si vive bisogna tenere a mente che si tratta di risultati del passato, che va compreso. Per questo dovremmo partire da quello che si è dimostrato efficace sin qui per salvaguardare Venezia, fra cui anche il MOSE».
«Il cambiamento maggiore che stiamo osservando è quello dell’innalzamento delle temperature – ha spiegato l’accademico – derivato da emissioni di gas clima alteranti, si tratta di sostanze che immesse nella parte bassa dell’atmosfera terrestre ristagnano aumentando il naturale effetto serra. Di questo non possiamo che incolpare le attività umane, visto che se nel 1850 queste sostanze erano pari a 250 parti per milione, oggi siamo a quota 420/430, quindi anche se da domani smettessimo di generare nuove fonti di gas, a causa dell’inerzia del sistema, la temperatura continuerebbe ad aumentare fino a stabilizzarsi. Questo in concreto, causa eventi estremi come incendi e inondazioni e per una città costiera come Venezia, il rischio è maggiore dell’interno».
«Entro fine secolo è previsto un aumento di non meno di 40/50 cm del livello del mare, se fossimo virtuosi – ha ipotizzato Marcomini – dovremmo stabilizzare e diminuire la CO2 prodotta, gli effetti però li vedremmo non prima del 2050/2070. E’ chiaro che sacrificare e impegnarsi oggi per vedere i frutti fra 30/40 anni mette i decisori e tutti noi di fronte a scelte e investimenti che non possono essere giustificati in tempi brevi. Solo così però la laguna potrebbe mantenersi tale, con una biodiversità che si adatterebbe in modo graduale, altrimenti questo ambiente di transizione fra acque dolci e salate verrebbe meno, rendendo tutto mare nel peggiore dei casi. Oltre a Venezia questa è una tematica che riguarda tutte le coste e, considerando che nel mondo oltre il 50% della popolazione vive in queste aree, l’impatto su larga scala con stravolgimenti è devastante».
«Per ora il MOSE ha avuto un prezzo basso nella logica di salvaguardare l’ecosistema lagunare rispetto agli scenari che avremmo potuto incontrare senza il suo intervento – ha proseguito Marcomini – la chiusura delle paratorie interrompe tra le altre cose l’afflusso di acqua marina, che per lunghi periodi favorirebbe eventi di ipossia (diminuzione di ossigeno) o nel peggiore di anossia (mancanza di ossigeno), senza l’apporto delle maree. L’unico “danno” se così possiamo definirlo, che ha l’uso è proprio l’interruzione dello scambio delle acque, che riduce la presenza di materiale sospeso, ovvero i sedimenti che alimentano le barene ripascendole progressivamente, questo si traduce in una necessità di intervento umano per la manutenzione».
«Se invece il MOSE dovesse agire con una frequenza di chiusure maggiori – ha illustrato il docente – gli impatti sarebbero ben diversi, a partire dalla manutenzione maggiore, con la sostituzione dei componenti a più alta sollecitazione e usura. In ogni caso la salvaguardia della laguna non potrà passare solo per il sistema di dighe mobili, perché non basterà con l’attuale trend di innalzamento del livello del mare. Più di 40 anni fa il professor Gambolati di Padova aveva proposto coraggiosamente di innalzare l’intera città di Venezia, si tratta di un’ipotesi tutta da verificare ancora, ma potenzialmente plausibile. Un’altra alternativa è quella di ridurre lo scambio di acqua col mare attraverso sistemi come in Olanda, altrimenti la laguna finirebbe, letteralmente, polverizzata, così facendo invece si manterrebbe un livello di salinità e un ambiente di transizione. Se invece si opterà per chiudere lo sbocco al mare, l’ambiente lagunare si trasformerebbe in un lago artificiale».
«Quale che sia lo scenario che si deciderà di favorire – ha precisato Marcomini – la città è chiamata a ridurre qualsiasi immissione di inquinanti in atmosfera e intervenire sulla propria rete fognaria, premessa per rendere ogni “trasformazione” sostenibile anche dal punto di vista della salute pubblica, questo comporta che vanno intercettati tutti gli scarichi, compresi quelli lungo la gronda lagunare e resi “puliti”. Con tutte queste incognite sull’accesso via mare, anche la funzione portuale andrà ripensata, bisogna decidere se realizzare un porto offshore fuori dalla laguna per mantenere la vocazione storica ed economica di questa infrastruttura, collegando il nuovo polo marittimo alla terraferma con linee ferroviarie dedicate, con l’ipotesi di entrare in un sistema portuale alto-Adriatico con Trieste e Ravenna».
«Se questi cambiamenti possono spaventare – ha concluso l’accademico – dobbiamo tenere a mente che la laguna, da quando esiste l’uomo, è un ambiente regolato sin dall’epoca dei romani e nel tempo lo è stato sempre di più. Dalle origini il problema principale di Venezia è stata la propria salvaguardia e non basterà questa volta proteggerla dai cambiamenti climatici, sarà necessario anche rivedere l’identità della città. Dovrebbe diventare un luogo attrattivo, visto che in proiezione a livello nazionale da qui al 2032 si perderanno un milione di giovani per il calo demografico, over-tourism e spopolamento saranno temi che andranno trattati di pari passo a quelli ambientali. Ripensare quindi gli usi e gli spazi, con Marghera affacciata alla laguna che potrebbe diventare anche polo culturale oltre che industriale e una nuova riorganizzazione che metta in connessione il triangolo PaTreVe (Padova-Treviso-Venezia) dal futuro potenziale sotto al livello del mare, sono tematiche da affrontare oltre alla difesa della biodiversità. Infine: Venezia dovrà cambiare e potrà farlo attraverso la sostenibilità ma anche l’internazionalità, attraendo talenti nel mondo del lavoro e dell’università».
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