La mamma in riva al mare è sempre esistita. È lì dalla creazione. E non si schioda. Ha solo cambiato le proprie abitudini nel corso dei decenni.
Una volta, tempi felici, la mamma compariva sulla riva all’imbrunire e con urla che si sentivano al di là del mare – sembra che anche i bambini jugoslavi uscissero dall’acqua impauriti quando la sentivano – imponeva l’uscita dall’acqua dove eravamo a mollo da tutto il pomeriggio. Le nostre rimostranze venivano tacitate con l’evidenza dei fatti: a nostra insaputa – perbacco, ma come era successo? – il sole era tramontato, e noi, gregge di maschi delle elementari, esseri semplici, non ce ne eravamo accorti.
Si tornava a casa. Se si riusciva, si cenava senza addormentarsi con la testa nel piatto. Poi si andava a dormire, se la mamma non se ne accorgeva, direttamente con il costume (e relativa sabbia) ancora su e pronto per la mattina dopo. Il maschio è nato per risparmiare tempo.
L’unica caratteristica che accomuna la mamma di allora a quella di oggi è l’incomprensibile ritornello: «Devi aspettare a fare il bagno, hai appena mangiato». Apriamo la parte scientifica.
Io ho sempre dovuto aspettare qualche tempo prima di entrare in acqua dopo aver mangiato, come tutti i miei amici. Prescrizione sempre rispettata per paura dello zoccolo volante, arma precisissima nelle mani delle mamme del tempo.
Quando sono diventato papà però, prima di trasformarmi in vessatore a mia volta, ho voluto approfondire la questione. Dopo un paio di giorni ho avuto la risposta, che già avevo intravisto nei miei anni di studio. Tenetevi forte: non c’è nessuno che abbia mai dimostrato che fare il bagno dopo mangiato faccia male. Gli unici studi esistenti fanno riferimento alle caratteristiche dell’alimentazione che precede la gara dei 100 metri stile libero.
Forte di questa verità ho esonerato le mie figlie dall’intervallo pasto/bagno. Nonostante le paure della madre, sono cresciute sfidando infinite volte quella condizione mitologica nota come la congestione.
Anch’io sono sopravvissuto: alle ire dei genitori dei bambini che imitavano le mie figlie. Impeccabile il ragionamento dei più piccoli: se lo fanno loro che hanno il papà pediatra, allora possiamo farlo anche noi!
Ma torniamo alla nostra mamma ancora in riva al mare, con i braccioli, il giubbotto salvagente (manca solo la scialuppa di salvataggio) e, soprattutto, l’asciugamano pronto. Appena il pargolo, rispettato l’odiato intervallo post merenda – eppure, a quanto mi viene riferito, nessun bambino mangia niente… – si avvia verso l’acqua, scatta anche la mamma. Mamma: se imponi i braccioli a tuo figlio, non imparerà mai a nuotare e dovrai portarlo in piscina d’inverno, facendogli infiammare le adenoidi e procurandogli l’otite.
Comodamente seduti sulla sdraio potete sapere quanti bambini sono in acqua contando le mamme in riva al mare: ogni bimbo una mamma. Ogni occhio di mamma un telemetro di precisione: guai se ti allontani più di un tot dalla riva, là ci sono i pericoli!
Vorrei tanto che anche loro andassero sotto a prendere un po’ di cape, ammesso che ce ne siano, o che cercassero di annegarsi e litigassero per poi fare pace come non tanto tempo fa. E sì che, dove vado io, sono tutti della zona, quindi non a rischio annegamento. Intendiamoci: è vero che di tanto in tanto qualcuno anche a Jesolo si annega, ma, diciamolo sottovoce, sono persone di popolazioni notoriamente non abituate al mare.
Una postilla: nel corso degli anni ho capito perché le mamme, soprattutto dei figli maschi, sono così convinte di portare i figli in piscina durante l’inverno. Non perché imparino a nuotare in modo da restare più rilassate durante l’estate – altrimenti scomparirebbe la nostra cara mamma in riva al mare – ma perché i ragazzini escono già puliti e non puzzano come quelli che giocano a calcio!
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