Molte leggi vengono ricordate e associate alle persone che le hanno volute e formulate, spesso andando a sostituire il loro nome istituzionale in favore di coloro che le rappresentano. La legge Basaglia, ovvero la legge 13 maggio 1978, n. 180, ne è un esempio. Molti la conoscono, molti ne hanno sentito parlare, ma chi era Franco Basaglia? In onore dei 100 anni dalla sua nascita una mostra organizzata e ospitata da Emergency a Venezia, dal titolo “OMAGGIO A BASAGLIA. DAL MANICOMIO ALLA CURA Cento foto di Gian Butturini a cento anni dalla nascita”, aiuta a comprendere, conoscere e apprezzare uno degli uomini che hanno cambiato la storia della cura delle malattie mentali in Italia. Realizzata in collaborazione con l’Archivio Basaglia e l’Associazione Gian Butturini, l’esposizione situata in Giudecca 212 mostra l’operato di Basaglia tramite la lente fotografica di Gian Butturini, fotografo che negli anni ‘70, prima dell’entrata in vigore della legge, ha fatto visita all’ospedale psichiatrico di Trieste su espressa richiesta di Basaglia per documentare le condizioni di vita degli ospiti e raccontare la rivoluzione messa in atto. L’operato di Basaglia verteva infatti non solo nel curare tramite farmaci e operazioni, ma anche nel restituire dignità agli ospiti che vivevano nelle strutture, spesso dimenticati e, per citare lo stesso Basaglia, ritenuti “scarti di una società che li ha usati e gettati come scorze di banane”. Alla conferenza di presentazione di martedì 4, oltre alla curatrice della mostra Gigliola Foschi e la presidente di Emergency Mara Rumiz, hanno partecipato anche Tiziano Butturini, figlio del fotografo Gian Butturini, e Alberta Basaglia, figlia di Franco Basaglia.
Durante l’incontro Tiziano Butturini ha raccontato in che modo Basaglia e Butturini si sono conosciuti: «Mio padre era a Venezia per la Biennale e ha avuto la possibilità di intervistare Basaglia a casa sua. In quel periodo stava girando un docufilm sulle morti bianche e il pendolarismo. Durante l’intervista Basaglia gli chiarì il nesso fra i due fenomeni sociali, infatti in entrambi si manifesta un’alienazione e un distacco della persona nei confronti di se stessa e della propria identità. Il docufilm realizzato è una prova dell’ampiezza del pensiero di Basaglia che va oltre l’ospedale psichiatrico. Proprio lui andava contro tutte le istituzioni che mortificavano le persone». L’obiettivo della collaborazione tra il fotografo e il medico diventa allora quello di mostrare la riforma di Basaglia prima che essa diventi effettivamente legge. Basaglia infatti non voleva un fotografo che facesse qualche scatto ma voleva che vivesse lì, che sentisse con la propria pelle e che percepisse quello che stava succedendo. Le foto di Butturini narrano il rapporto che si era instaurato tra il fotografo e gli ospiti e sono infatti pregne di rispetto e di empatia, inoltre permea il rapporto di simpatia creatosi. Basaglia in quel periodo organizzò anche un volo con 100 ospiti della struttura per mostrare loro Venezia dall’alto. Egli voleva che provassero emozioni positive e che tornassero a vivere ancora stralci di vita di cui, a causa di un regime di costrizione, erano stati privati. Era un pensiero comune che la costrizione e la vita povera di momenti positivi durante la degenza dentro i manicomi aggravassero la condizione degli ospiti. La battaglia di Basaglia passava da gesti e comportamenti che potrebbero sembrare inutili ma che andavano a toccare gli ospiti nel profondo. A questi è stato permesso di ricostruirsi un appartamento che rispecchiasse un ambiente a loro familiare e in linea con la loro persona. Inoltre, nell’ospedale c’era anche un centro “Vesna” dove un’estetista collaborava per ridare un volto umano alle donne.
In maniera molto toccante, Alberta Basaglia ha invece raccontato cosa ha provato durante le celebrazioni per il centenario dedicato al padre: «Inizialmente pensai di ritrarmi da questa ricorrenza, tuttavia la quantità di iniziative e le discussioni generate sono state importanti, hanno ridato luce a dibattiti sui diritti delle persone e hanno permesso anche alle nuove generazioni di avvicinarsi alla realtà portata alla luce da mio padre. – e continua – La realtà del manicomio è stata distrutta ma la società odierna è molto regressiva e sta cominciando a tornare indietro. Partecipare a questo centenario vuol dire anche ridare voce a un problemaaffrontato tempo fa e ricordare a tutti cosa è stato fatto da un gruppo di persone che non potevano accettare di rinchiudere degli individui, privandoli di qualcosa di essenziale come i pari diritti».
Nel restituire dignità alle persone affette da malattie si trova una comunanza di intenti tra Basaglia e Gino Strada, storico fondatore di Emergency morto nel 2021. Mara Rumiz, responsabile dei progetti speciali di Emergency, ha infatti raccontato che l’operato di Gino Strada aveva dei tratti in comune con Basaglia: «Gino aveva la stessa idea, non voleva curare solo tramite operazioni ma anche avendo attenzione alla persona, rivolgendosi al suo benessere, ai suoi diritti e alla sua integrità. – ha spiegato – Una cosa che contraddistingue Emergency, seguendo le parole del suo fondatore, è proprio la creazione degli ospedali in Africa. Lì l’attenzione viene posta anche alle strutture, perché una tenda non ha lo stesso effetto di una costruzione con un giardino ben curato che aiuta enormemente il paziente a ritrovare la felicità e la dignità. Anche se ai più può sembrare solo estetica, per i pazienti non è solo bellezza ma un aiuto ulteriore». La mostra sarà visitabile fino al 25 gennaio, dal giovedì al sabato, con orario 12 -18.
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