
Tatiana Trouvé trasforma Palazzo Grassi in un labirinto di spazi fisici ed immaginari. Fino al 4 gennaio, la sede veneziana della Pinault Collection ospita una raccolta di sculture e disegni in cui collidono mondi e convergono ricordi, sogni e proiezioni. La mostra, curata da Caroline Bourgeois e James Lingwood, è «un ecosistema completamente aperto» in cui «tutti gli elementi che lo compongono si collegano e tracciano la mappa di un vagabondaggio condiviso, senza origine né fine». L’artista franco-italiana fonde tecniche e i materiali più disparati. Li utilizza su un repertorio di oggetti quotidiani che appaiono e riappaiono nel corso della mostra: coperte, libri, valige, scarpe, bottiglie, radio, immagini di luoghi e spazi che Trouvé sogna, osserva o immagina. «L’esposizione si sviluppa in quattro momenti», spiega Bourgeois, «superata l’opera site-specific dell’atrio, si prosegue al primo piano tra le sculture e al secondo fra i disegni. Il percorso si conclude nell’inventario: una finestra aperta sul suo mondo creativo ed immaginativo». Materiali, disegni e forme compongono una poesia visiva circolare in cui gli elementi viaggiano, si spostano e infine si ritrovano. «Vi invito a navigare nel mio universo: inizia sotto i nostri piedi e si espande verso un orizzonte cosmico», commenta Trouvé, «questa mostra è una passeggiata libera nei miei mondi».
Nell’atrio di Palazzo Grassi Trouvé ha steso un tappeto di asfalto nero che sembra trattenere, come un suolo primordiale, le tracce delle città moderne. All’interno della distesa scura, calchi fusi in metalli diversi emergono come segni enigmatici. Tombini e piastre di copertura delle tubature di servizio, recuperati da angoli diversi del mondo, disegnano una mappa immaginaria che collega Parigi, Londra, Roma, Venezia e New York. Ogni elemento, incastonato nell’asfalto, diventa una soglia verso il sottosuolo: un reticolo invisibile eppure vitale in cui cui scorrono acqua ed energia. Venezia si fa punto d’incontro di questo intreccio di vie sotterranee, come se tutte le acque del mondo convergessero nella città lagunare in un flusso eterno. Dall’alto, il pavimento asfaltato non è più solo una mappa, ma un cielo notturno punteggiato di segni metallici, come un atlante stellare: la stessa rete di coordinate che per millenni ha guidato viaggiatori per terra e per mare. Ogni calco, diventa un indizio per orientarsi tra mondi spaziali e temporali, un’opportunità per navigare attraverso le suggestioni della materia e della memoria.
Nei primi mesi della pandemia del 2020, Trouvé è rimasta isolata nel suo studio di Montreuil assieme al suo cane. Il 15 marzo, due giorni prima dell’inizio del lockdown in Francia, ha stampato la prima pagina del quotidiano Libération, che titolava «Coronavirus: le jour d’avant (Coronavirus: il giorno prima)», usandola come base per un disegno. Ogni giorno, per le otto settimane successive, ha ripetuto la stessa azione con la prima pagina di un diverso quotidiano nazionale: El País, La Repubblica, The New York Times, The Guardian, il South China Morning Post. “From March to May” è una testimonianza della storia collettiva: una cronaca della paura, della disperazione, della confusione, della rabbia e della speranza condivisa in tutto il mondo. In molti dei disegni, Trouvé giustappone lo spazio privato del suo studio ai reportage drammatici di un momento in cui la realtà sembrava superare la finzione. In altri, traccia alberi, animali, orologi, globi e illustrazioni mediche sopra titoli funesti. Su una prima pagina del Times of India, Trouvé raffigura un pipistrello. Un disegno del suo cane Lulù racchiude la fotografia di una fila di persone “socialmente distanziate” in coda per comprare del cibo, mentre un viticcio di foglie cresce attorno ad un titolo del quotidiano keniota The Star che parla di una possibile cura a base di erbe. Nei disegni di Trouvé tutto è intrecciato: pubblico e privato, individuale e collettivo, mutazioni genetiche e destino dell’umanità.
A partire dal 2013, Trouvé lavora ad una serie di sculture intitolate “The Guardians”. Ogni guardiano è una presenza unica, ma condivide con gli altri membri del gruppo alcuni tratti essenziali. C’è sempre una sedia o una panchina affiancata ad oggetti personali abbandonati: vestiti, scarpe, coperte, cuscini, borsi, valige, libri. Disposti come sentinelle nelle sale della mostra, appaiono come silenziosi testimoni dello spazio. Le opere di pietra dura, scolpite in marmo, onice e sodalite, arricchite da oggetti fusi in bronzo e ottone, diventano il riflesso delle figure che solitamente presidiano il museo e lo sorvegliano con sguardo discreto. I libri di pietra, disseminati tra le sculture, svelano titoli che spaziano tra scienze naturali e fantascienza, antropologia, anarchismo, mondi onirici di popoli indigeni e studi sulla coscienza delle piante. I volumi suggeriscono la fascinazione di Trouvé per sistemi alternativi di conoscenza, rispetto a quelli plasmati dall’Illuminismo, protagonisti della società occidentale. Oltre ad essere custodi di cultura, I guardiani conservano «la speranza in un futuro diverso». Tra le pagine scolpite, molte provengono da libri scritti da donne: voci che attraverso nel hanno saputo lasciare un segno indelebile.
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