Il fascino e il mistero del doppio. Questo è l’elemento più significativo delle opere della fotografa svizzera Monique Jacot presenti nella mostra dal titolo “La figura ed i suoi doppi”, presentata al piano terra del Palazzetto Bru Zane a Venezia, sede del Centre de musique romantique francaise della Fondation Bru, che durante la Biennale d’Arte ogni anno invita un fotografo a esporre le sue opere. «Il ciclo di mostre fotografiche è stato inaugurato nel 2015 con “Couleurs” di Gilles Caron, poi con “Listen”, di Rhona Bitner, una cartografia della storia della musica «Rock» gli Stati Uniti e nel 2019, con “Venise, Reynaldo Hahn – Marcel Proust – Mariano Fortuny”, una scoperta di fotografie di Venezia alla fine dell’ Ottocento» ha detto Michèle Roche, amministratrice di Palazzetto Bru Zane. La mostra, che invita a scoprire con un’accurata selezione di scatti il talento di Monique Jacot, si inserisce nel programma di sostegno alla fotografia che la Fondation Bru ha il piacere di presentare con Photo Elysée. Fondation Bru prosegue così nel suo impegno a favore della valorizzazione del patrimonio culturale, in particolare a favore di due settori artistici cari alla sua fondatrice, la dott.ssa Nicole Bru: la musica e la fotografia.
Monique Jacot (1934) è una delle più importanti fotografe svizzere. Dopo aver studiato all’École des arts et métiers di Vevey, ha intrapreso una carriera nel giornalismo come fotoreporter. Ha realizzato numerosi reportage per riviste svizzere e internazionali quali: Camera, Die Woche, “Du”, Elle, Geo, Schweizer Illustrierte, Stern e Vogue. Nel corso della sua carriera però, Jacot ha però esplorato diversi generi fotografici. Appassionata di viaggi, è nota per le sue fotografie scattate in giro per il mondo e per la sua meticolosa documentazione di alcuni aspetti della vita in svizzera, in particolare quelli relativi alla condizione femminile nelle fattorie e nelle fabbriche. In aggiunta ai suoi reportage, Monique Jacot ha realizzato una quantità di opere che attestano la sua ricerca artistica. A titolo di riconoscimento del suo importante contributo alle arti visive, nel 2020 le è stato attribuito il Grand Prix Suisse du design.
Le 23 fotografie presentate in questa esposizione, tutte scattate in svizzera, sono prese dall’archivio dell’artista e rivelano il modo in cui Monique Jacot gioca con la figura e i suoi doppi, in particolare attraverso il montaggio e diversi effetti speculari, con cui conferisce al suo lavoro un’estetica poetica, quasi onirica. Ne sono esempio le opere senza titolo in cui ci riprende volti di uomini e donne che sdoppia o tripartisce. Particolare quello in cui il volto di una donna si sdoppia fino a diventare nella terza immagine, in un gioco di specchi, quasi il volto di una bambola paurosa. Di sdoppiamento parla anche la fotografia dal titolo “Héléna Zwiquer, danseuse, Bienne” del 1990 che, con un gioco geometrico, riprende una danzatrice la cui immagine si riflette sullo specchio della sala da ballo. Inoltre, innovativa è l’opera, tra le più rappresentative esposte in mostra, “Morges, piscine d’exercice de la maternité” del 1980 in cui le pance delle donne incinte fotografate galleggiano nell’acqua andando a creare geometrie e nuovi riflessi. «La mostra presenta per metà lavori in cui l’artista realizza opere sperimentali ed estetiche, mentre l’altra metà documenta le sue fotografie fotogiornalistiche» spiega Hannah Pröbsting, curatrice della mostra. Nel suo lavoro di fotoreporter infatti Monique Jacot accosta diverse figure, che possono rivelare un commento sociale al centro delle sue immagini.
Fin dall’inizio della sua carriera, Monique Jacot si è infatti interessata in modo particolare alle donne. Ha realizzato una trilogia in cui ha fotografato ragazze nella Repubblica Ceca, in Francia e in Inghilterra. In seguito si è dedicata a indagare le condizioni di vita e di lavoro delle donne in Svizzera, creando tre serie che sono state pubblicate: “Femmes de la terre” del 1989, “Printemps de Femmes” del 1994 e “Cadences. L’usine au féminin” del 1999. «Si tratta di un lavoro fotogiornalistico che è un mix tra poesia e arte» sottolinea la curatrice. Un’opera di queste, in particolare, è quella dal titolo “Calida, confection, Sursee. Lucern” del 1995 in cui l’artista mostra una lavoratrice di una fabbrica che porta dietro di sé disegnato sul retro della maglietta il sogno americano. «Un sogno – continua la curatrice – che la donna paradossalmente indossa ma che non è suo». In un’altra emozionante fotografia invece, intitolata “Cosette Petermand, La Côte-aux-fées, Neuchâtel 1984 -1989”, ritrae in grande il volto di un bambino dai grandi occhi pieni di futuro. L’esposizione sarà visitabile ad ingresso libero fino al 14 settembre, da lunedì al sabato dalle 14.30 alle 18.30.
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