L’ingresso del vetro di Murano alla Biennale nei primi decenni del ‘900 segna l’entrata di un’arte cosiddetta minore nel mondo delle arti maggiori, consacrando ufficialmente il valore artistico della produzione muranese d’avanguardia. Proprio su questo si concentra la mostra “1912-1930 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia”, a cura di Marino Barovier, organizzata a Le Stanze del Vetro sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. L’esposizione, dedicata alla presenza del vetro muranese alla manifestazione veneziana, prende in esame l’arco cronologico tra il 1912 e il 1930, ovvero dalla X alla XVII edizione della Biennale. Sono 135 le opere selezionate per l’esposizione, aperta fino al 24 novembre, molte delle quali di grande rarità, provenienti da importanti istituzioni museali e collezioni private. I manufatti raccontano come il vetro muranese abbia trovato progressivamente spazio all’interno dell’esposizione, attraverso le opere degli artisti e poi grazie all’apertura della Biennale alle arti decorative, che fino al 1930 sono state accolte nei vari ambienti del Palazzo dell’Esposizione insieme alle arti cosiddette maggiori. Solo dal 1932, con la costruzione del Padiglione Venezia, il vetro troverà una sede dedicata all’interno dei Giardini.
Il percorso della mostra inizia con una galleria di gigantografie e video d’epoca che mostrano la società nel tempo, tra costume, sport e lavoro, quest’ultimo incentrato in particolare sull’operosità nelle formaci. Negli anni ’10 la Biennale presentò principalmente vetri creati da artisti, come quelli di Hans Stoltenberg Lerche, scultore e ceramista norvegese, che introdusse vetri innovativi dal 1912 al 1920 con l’applicazione a caldo di filamenti e polveri policrome, ma anche attraverso il decoratore muranese Vittorio Toso Borella con i suoi smalti del 1912 e del 1914 e i pittori Vittorio Zecchin e Teodoro Wolf Ferrari che presentarono lavori a murrine nel 1914. Il vetro arrivò in esposizione anche attraverso l’artista del ferro battuto Umberto Bellotto nel 1914 e nel 1924 con i suoi interessanti connubi tra ferro e vetro colorato, spesso arricchiti da inserti a murrine. Per realizzare le loro opere, questi artisti collaborarono con vetrerie come la Fratelli Toso o quella degli Artisti Barovier. I vetri presentati alla Biennale in questo periodo, quindi, rappresentarono uno straordinario tentativo di proporre un nuovo linguaggio, con uno sguardo rivolto alle ricerche d’oltralpe.
A partire dagli anni ‘20, dopo la pausa imposta dalla Grande Guerra, alla Biennale iniziarono a figurare anche vetrerie con la loro produzione, realizzata autonomamente o con la collaborazione di progettisti esterni. Tra queste, in particolare, si distinse la fornace di Giacomo Cappellin e Paolo Venini, la V.S.M. Cappellin Venini e C. che, grazie alla collaborazione artistica di Vittorio Zecchin, realizzò soffiati monocromi di elegante modernità ispirati a modelli rinascimentali, come i delicati vasi rosa in vetro di ametista. Esposti tra il 1922 e il 1924, questi vetri segnarono una nuova via per il rinnovamento della vetreria muranese che così, per buona parte del secondo ventennio del secolo, utilizzò principalmente il vetro monocromo trasparente. Questa tipologia di vetro venne adottata anche dal pittore e incisore Guido Balsamo Stella che partecipò alla manifestazione veneziana dal 1924 al 1930, distinguendosi per i suoi originali vetri incisi. Nuovi vetri trasparenti furono poi presentati nel 1926 dalle vetrerie nate dalla divisione di Cappellin e Venini, la M.V.M. Cappellin e C., con opere su disegno di Vittorio Zecchin, e la V.S.M. Venini e C. con opere su disegno dello scultore Napoleone Martinuzzi. Proprio a quest’ultimo si deve il vetro pulegoso verde dal caratteristico aspetto semiopaco a fitte bollicine, con il quale furono eseguiti una serie di manufatti dall’aspetto scultoreo che ebbero grande risalto in occasione della Biennale del 1928 e di cui in mostra è presente una ricca rappresentanza.
Sempre all’edizione del ‘28 partecipò alla Biennale anche la Vetreria Artistica Barovier con una piccola serie di animali e di piante in vetro trasparente policromo, in cui spiccano due tigri ruggenti e un orso bianco in vetro di cristallo decorato da murrine, esempio di una nuova produzione come quella dei soprammobili artistici, nella quale la fornace si distinse anche negli anni seguenti. Altri animali realizzati in vetro traslucido vennero presentati da Guido Balsamo Stella con SAIAR Ferro Toso alla XVII edizione nel 1930, dove si poté apprezzare anche il grande lavoro di sperimentazione fatta dalle fornaci muranesi più importanti, come la Vetreria Artistica Barovier e la V.S.M. Venini e C. La prima espose nella Galleria del Bianco e Nero dei raffinatissimi vetri Primavera dall’aspetto lattiginoso con finiture in pasta vitrea nera, frutto delle ricerche di Ercole Barovier, come l’elegante piccione scelto come manifesto della mostra. La V.S.M. Venini e C, invece, sempre su ideazione di Napoleone Martinuzzi, propose nuovi vetri pulegosi, vetri incamiciati dalle colorazioni brillanti, come i vasi in vetro con piante grasse, un cavallo e un liocorno, insieme a manufatti in vetro mescolato e a originali tipologie di oggetti come gli acquari.
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