Se amo la narrativa di viaggio è perché, tantissimi anni fa (almeno una trentina ma temo di più), mi è capitato per le mani questo libro, allora nella versione rilegata (Supercoralli, la collana: ora è un Einaudi Tascabili). Parto subito con una digressione/riflessione: c’è perfino una collana, della Mondadori, che si chiama “le strade blu”, giusto per capire quanto questo libro abbia lasciato il segno. Cosa sono “le strade blu”? Semplicissimo: nelle carte stradali degli Stati Uniti le highways (le nostre autostrade o superstrade) sono segnate col colore rosso, le strade minori col blu. Perché l’autore, nel lontano 1978, dopo un anno di crisi esistenziale, decide di abbandonare il suo lavoro di insegnante e, attrezzato un piccolo furgone con letto, cucinetta e poco altro, si mette sulla strada con l’intento di girare gli USA seguendo, programmaticamente, le “strade blu”.
Questo incredibile diario di viaggio mostra un volto nuovo e inatteso degli States. Oserei dire che mostra il volto autentico, quello che a noi europei sfugge totalmente. Least Heat Moon, dal nome si capisce che è un nativo americano, capace di scherzare sulle sue radici al punto di battezzare “Ghost dancing” il furgone, in questo periplo che copre praticamente l’intero territorio degli USA riesce a ricostruire sé stesso restituendo, al contempo, ai lettori una testimonianza unica e irripetibile.
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