
«Ci mancano dati puntali – spiegano con preoccupazione da LIPU Venezia – ma è indubbio che la situazione si presenta seria, se non grave: gli uccelli faticano a tenere il ritmo di un clima che sembra impazzito, tra temperature al di sopra della media e improvvisi sbalzi termici, il risultato è che le rotte e i periodi migratori vengono pesantemente influenzati, mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie. Il pericolo, oltre alla conservazione, è la perdita di biodiversità e l’equilibrio creato dalla natura, con impatti pesantissimi anche sulla nostra vita di tutti i giorni. Il veneziano in pieno inverno è così diventato zona di svernamento per esemplari di regolo (Regolus regolus, gru cenerina (Grus grus) e falco cuculo (Falco vespertinus)».
«Il fenomeno è preoccupante perché dopo millenni in cui le migrazioni sono state scandite da stagionalità piuttosto regolari – aggiungono dalla delegazione veneziana – il clima sta mettendo a dura prova l’andamento consolidato su rotte specifiche per gli uccelli migratori. L’impatto è sulle soste, che sono tradizionalmente tarate per recuperare energie dopo migliaia di chilometri in volo. Arrivare in una tappa prima o dopo il periodo più indicato, rischia di non far trovare un habitat adeguato tanto per la sopravvivenza che per la riproduzione. Gli uccelli sono animali molto versatili, si sono adattati nel tempo al clima, il problema è che in questo momento i cambiamenti sono troppo veloci, disorientando così tante specie che non sanno come affrontarli: gli animali si trovano a non capire quale sia il momento giusto per intraprendere la migrazione e riprodursi, con il rischio di subire un drastico calo».
I più sensibili ai cambiamenti climatici sembrano essere i rapaci: «Questo deriva dal fatto che compiono migrazioni molto lunghe, non è raro che dall’Europa arrivino fino all’Africa – spiegano gli esperti – se non superano il senso di disorientamento rischiano di fallire il processo riproduttivo, quindi la specie è messa a grosso rischio. I censimenti che abbiamo a disposizione evidenziano in modo molto chiaro questo trend, che interessa anche specie comuni come i piccoli uccellini della famiglia dei passaracei. Fra le cause ci sono anche le difficoltà della Guerra in Ucraina, Paese che era una delle mete di passaggio di moltissime specie e oggi è, come prevedibile, altamente inospitale per i volatili in migrazione».
«Gli ultimi dati disponibili da Birdlife Europe, organismo internazionale impegnato nella conservazione, mostrano un calo del -35% in 5 anni per gli uccelli di pianura che si cibano di vermi e altri insetti – affermano allarmati da LIPU – il solo passero d’Italia un -67%, con questi numeri sarebbe decisamente il caso di ridurre il periodo venatorio, che crea ulteriore pressione su questi animali, visto anche che l’Ispra ha riferito come la caccia incida sulle specie e abbia un calendario eccessivo dalla seconda domenica di settembre a fine gennaio. Per i rapaci in crisi, tra i diurni ghebbio, falco pescatore, cuculo, sparviere, poiana quest’ultima è in pericolo perché cibandosi di topi avvelenati da esche e lasciati in giro, invece che smaltiti come rifiuti speciali, perisce anch’essa, oltre a rischiare di morire fulminata quando apre le ali in prossimità di cavi elettrici. Tra i notturni allocchi, barbagianni e gufi risentono della mancanza di habitat come siepi e vecchi alberi cavi, per nidificare».
«Nell’ultimo periodo abbiamo ricevuto ben quattro segnalazioni delle presenza di esemplari di regolo un passeriforme insettivoro tra i più piccoli in Europa – raccontano da LIPU – oltre al fatto che purtroppo si è trattato in tutti i casi di collisioni su vetrate, segnale di una presenza massiccia, questo animale in questo periodo dovrebbe già essere nel Sud Italia o in luoghi di svernamento sul Mediterraneo. E’ stato avvistato nella zona di Favaro Veneto anche un falco cuculo femmina che dovrebbe trovarsi a oltre 10.000 km da qui a latitudini subsahariane, mentre si è trattenuto qui predando storni per oltre una settimana. Proveniente probabilmente dalla Siberia, se ci fosse un calo delle temperature o tempeste di neve lungo la dorsale Appenninica, potrebbe avere difficoltà a portare a compimento il suo viaggio, infatti gli uccelli non resistono a temperature troppo rigide, basta una ghiacciata per mettere in serio pericolo di vita questi rapaci».
«Sempre a metà gennaio nella zona di Marcon – aggiungono – si è fatto vedere uno stormo di circa 50 gru cenerine, probabilmente proveniente dalla penisola Iberica o dalla Grecia, che volava troppo presto in direzione Sud Est verso la Siberia e Finlandia. Lì le temperature sono ancora rigide e il terreno ghiacciato non può essere fonte di cibo. Purtroppo sono partite con un mese e mezzo di anticipo tradite dalle temperature troppo alte per il periodo, risalendo nel Nord Europa non troveranno quasi nulla e probabilmente andranno incontro alla morte. Le migrazioni sono processi lunghi e consolidati in qualche modo nel DNA di questi animali, quindi rotte fuori dal calendario squilibrano l’intero modo di vivere di questi uccelli ed essendo animali selvatici e volando in stormo è impossibile catturarli anche solo per salvarli. L’unica speranza per loro è che faccia caldo al Nord, ma sarebbe una vittoria di Pirro, perché significherebbe che anche lì la crisi climatica è fuori controllo».
«Il trend degli ultimi anni di un continuo cambiamento delle temperature rende la vita difficile a tutte le specie sul pianeta, uomini compresi – è il monito da LIPU – questi fenomeni possono avere le evoluzioni più varie e gli indicatori non sono per niente positivi. Per salvare gli animali e, di conseguenza noi stessi, dobbiamo preservare gli habitat naturali, che è quello che facciamo nell’Oasi di Gaggio dove, in totale controtendenza dal resto d’Europa, specie come nitticora e airone rosso si riproducono, nonostante la riduzione di spazi naturali, che ha interessato nel corso di tutto il secolo scorso la stessa laguna di Venezia con l’eccessiva apertura alla navigazione. Il venire meno di una specie porta con sé grosse problematiche, la biodiversità ha a che fare col futuro dell’intero pianeta, infatti la sparizione di alcuni animali ne favorisce il proliferare di altri che possono causare problemi e conseguenze incontrollabili, la natura ci insegna l’importanza dell’equilibrio, ma siamo stati dei pessimi allievi».
«Infatti il proliferare di gazze e corvi o colombi non è altro che il risultato della messa in crisi dei rapaci che con il loro ruolo li contengono per natura – concludono – oltre a tenere sotto controllo anche le specie di nutrie, topi, ratti e talpe. Le istituzioni sono spesso ancora spesso miopi, basti pensare che nell’ultimo piano faunistico venatorio della Regione Veneto, atteso dopo anni di gestazione, nelle 850 pagine compare solo una ventina di volte la parola “biodiversità”, però le persone stanno sviluppando una coscienza che la crisi climatica e cambiamenti potranno avere risvolti importanti nelle nostre vite, quindi anche gli uccelli hanno un ruolo vitale. Possiamo fare tutti qualcosa, dai comuni ai cittadini, un esempio? Si può fare a meno di abbattere alberi, anche se morti ma stabili o preservare le aree rurali, perché questi sono potenziali supporti per i nidi e la riproduzione di molte specie».
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