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Lotta partigiana: nelle opere il lato meno conosciuto di Vedova

In mostra al Museo M9 i capolavori di Emilio Vedova narrano, oltre alla grandezza pittorica, la lotta alle guerre

Il forte impegno civile è una cifra, tra le meno conosciute, che contraddistingue l’arte di Emilio Vedova, artista tra i massimi esponenti della pittura italiana del dopo guerra che, abbandonando i canoni tradizionali e dell’Accademia, con grande potenza espressiva si fece parte attiva nella protesta e resistenza davanti ai fatti più gravi della storia a lui contemporanea. “Rivoluzione Vedova” è la mostra allestita all’M9 di Mestre ideata e progettata da Fondazione Emilio e Annabianca Vedova e coprodotta dal museo. L’esposizione, curata da Gabriella Belli e allestita dallo Studio Alvisi Kirimoto, che ha già visto oltre 10 mila visitatori, si sofferma proprio sulla storia delle creazioni e sul loro significato artistico, analizzando attraverso 130 opere, di cui tre grandi installazioni, il contesto storico e sociale in cui Vedova ha lavorato: dalle macerie della Seconda guerra mondiale agli avvenimenti della politica internazionale che hanno sconquassato il mondo negli anni Sessanta e Settanta e ben oltre, fino alle soglie del Duemila. Emilio Vedova (1919 – 2006) nasce da una famiglia semplice. Negato per gli studi, in lui si fece subito viva una innata e precoce vocazione per la pittura. Realizza nudi e nature morte, fino a che non arriva ad astrarre completamente le sue opere di segno espressionista con una pennellata contrastata e irritata, sintomo di un secolo di grandi turbamenti che lo porteranno dalla resistenza passiva ad abbracciare la lotta attiva come partigiano.

La lotta partigiana

Una decina sono i lavori che in mostra manifestano il suo impegno civile davanti a guerre e sopraffazioni, a partire dal nazifascismo. Cinque piccole opere a tempera in particolare sono significative dei lavori che raccontano il suo contributo alla lotta contro il fascismo. Vedova prende infatti parte personalmente ad azioni della resistenza unendosi alla lotta partigiana sull’altopiano del Cansiglio, dove operava come staffetta per le comunicazioni. Ogni momento di quel periodo è buono per schizzare e fissare attimi di particolare intensità. Le tempere a tema partigiano esposte in mostra vengono proprio da quella cartella di disegni: parlano di morte e fucilazione e di vita in montagna. <Si tratta di una pittura che non ha ancora abbandonato la raffigurazione> spiega Belli. Tracce di figure ed oggetti si distinguono infatti ancora nella confusione di segni già fortemente espressivi: <Riconosciamo fucili e partigiani che avanzano a fatica nel bosco lumeggiati da un chiarore spettrale> continua Belli. Piccole opere che testimoniano gli eventi drammatici della resistenza e l’indignazione per quelle memorie.

Il malessere sociale

L’esposizione continua con opere in cui approda definitivamente alla pittura astratta per poi arrivare all’inserimento di carte ed oggetti fino a far scomparire sempre più la pittura dalla superfice. Le sue opere sono, come lui stesso le definiva, “territori d’inchiesta”, con cui voleva dare voce a quel “malessere tra l’essere dentro questa società e il volerne un’altra”. Del 1951 è l’opera “Diario di Corea”, dove ogni sussulto figurativo è scomparso ed hanno preso posto tagli netti di inchiostro e la tecnica del collage sfruttando una nuova opportunità espressiva. Di particolare interesse sono anche i tre lavori di denuncia contro la Spagna di Francisco Franco del 1960 e 1962. Qui la pittura sembra non bastare più per descrivere la dittatura franchista: carte incollate ed oggetti arricchiscono quindi le tavole in cui compaiono espressioni come “strage” e “giorno più buio”.

Opere rivoluzionarie

L’esposizione continua con i “Plurimi”: sette grandi lavori tridimensionali, in cui la sua arte approda al gigantismo, che si espandono e si muovono nello spazio grazie a cerniere. Continua il lavoro con la serie “Tondi e dischi 1985-1995”, posti a terra o in piedi, in cui forte è l’unione del colore che si espande sulla superficie unito alla potenza del gesto, che insieme creano una grande carica espressiva. A fine itinerario stupisce poi la gigantesca installazione “…in continuum, compenetrazioni/ traslati ’87/’88”, che comprende un centinaio di tele poste in una caotica sovrapposizione. Un lavoro di grande intensità ed energia che interagisce tra spazio e pubblico. Si tratta di pittura bianca su fondo nero e viceversa e con un numero ristretto a colori. Vedova diede vita proprio ad una nuova modalità di fare arte, attuando una rivoluzione anche nell’impegno civile nella cronaca quotidiana della storia: <Il suo è stato un urlo di denuncia dei mali e delle ingiustizie umane> ribadisce infine Alfredo Bianchini, presidente della Fondazione Vedova. Completa l’allestimento una sala immersiva che accompagna e introduce nel mondo gestuale e creativo di Vedova, in cui viene sottolineato ancora una volta quanto la sua pittura si caratterizzasse per la potenza del segno, unita alla risonanza della luce. La mostra resterà aperta fino al 26 novembre, con entrata gratuita tutti i giovedì dalle ore 15 per i residenti della città metropolitana.

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