«Fosse per me il termine “ludopatia” lo toglierei dall’uso comune, è troppo edulcorato rispetto al fenomeno che indica non rappresentandone la gravità e drammaticità – spiega il dottor Ermanno Margutti, Responsabile dell’Unità Operativa Speciale per Venezia Centro storico e Chioggia del Dipartimento per le Dipendenze (Ser.D.) dell’ULSS3 Serenissima – oggi si parla proprio di disturbo da gioco d’azzardo, è una patologia riconosciuta a livello mentale. Se la parola “gioco” porta fuori da una visione negativa, è il concetto di azzardo che deve far preoccupare: implica puntare soldi in un esito che non può che essere perdente, anche se il ludopatico si illude di poterne avere il controllo. Questo disturbo, che non è assimilabile a un vizio, è tornato a livelli preoccupanti nel post-Covid».
«Il riconoscimento del suo status come patologia vorrei tanto fosse già qualcosa di culturale – prosegue – nonostante la prevenzione sul territorio e nelle scuola c’è ancora molto da fare, perché colpisce sia i più anziani che i più giovani, anche se il boom è fra i 35 e i 59 anni. Il gioco esiste da quando c’è l’uomo, basta pensare che reperti di antichi dadi di 5000 anni fa sono stati rinvenuti in Cina oltre a manufatti dell’Antico Egitto, ma ogni società è intervenuta in qualche modo per regolamentarlo perché è un fenomeno che colpisce a cascata dal soggetto tutto quello che gli sta intorno. Se per molto tempo è rimasto limitato ai casinò e alle bische oggi è ovunque intorno a noi, dalle sale slot ai bar, passando per i gratta e vinci. Ma perché non diventa una patologia per tutti? Perché il cervello a volte non riesce a domare gli impulsi, soprattutto nelle persone vulnerabili che progressivamente si ammalano e abbracciano una dipendenza che fa perdere il controllo e si insinua in tutti gli ambiti della vita, dalle relazioni al lavoro, un’ossessione che induce picchi di dopamina».
«Le motivazioni che portano a considerare il gioco come un rinforzo positivo di benessere variano da giocatore a giocatore – spiega il medico – ma in linea di massima ci sono tre categorie prevalenti. La prima è quella di provare e vincere subito, questo crea una sorta di condizionamento al cervello, facendo credere di poter tornare a vincere in qualsiasi momento, alimentando un circolo vizioso. La seconda è quella del bilanciamento di uno stato emotivo, soprattutto depressivo, che vede un eccitamento nel gioco rispetto a una quotidianità che non soddisfa. La terza è di tipo anti-sociale, si gioca per trasgressione, magari assieme a consumo di sostanze a compendio di condotte a rischio, mettendo particolarmente a rischio dipendenza le persone impulsive».
«Il nodo principale è l’intensità e la frequenza con cui si gioca, oltre alle cifre che si perdono, ma soprattutto l’attitudine con cui si affronta il resto della vita, se il gioco diventa totalizzante, la patologia è conclamata – chiarisce – è particolarmente a rischio la fascia più giovanile che fatichiamo a intercettare, magari non hanno molti soldi per giocare e non raggiungono la forma di un vero e proprio disturbo, ma di un bisogno che può restare latente. Ci sono correlazioni fra chi sviluppa dipendenza da videogiochi e il rischio di arrivare al gioco d’azzardo. Le percentuali di chi ha giocato almeno una volta sotto i 19 anni, anche acquistando un gratta e vinci o facendo una scommessa, sono impressionanti, con un aumento delle ragazze. L’accesso tramite smartphone a casinò online aumenta questo rischio potenziale, considerando che il cervello completa il proprio sviluppo verso i 25 anni, il pericolo è di interiorizzare il gioco d’azzardo come pratica positiva».
«Ormai sappiamo che si tratta di un disturbo multifattoriale – spiega il dottor Margutti – che deriva da predisposizione o circostanze sociali e ambientali, per questo è necessario un approccio multidisciplinare per risolvere la patologia. La cura è sia di psicoterapia individuale che di ri-educazione alla gestione del denaro, passando per affrontare l’indebitamento alla situazione famigliare, per risolvere conflitti e disagi attraverso un sostegno che ritrovare un equilibrio dentro e attorno la persona. Si tratta spesso non solo di ricostruire patrimoni ma veri e propri legami affettivi deteriorati dalla patologia. I primi segnali a cui fare attenzione infatti sono ammanchi di denaro, aggressività, cambi di umore, cambiamento radicale del comportamento, prestazione sul lavoro e nello studio e soprattutto deterioramento dei rapporti personali, oltre, purtroppo, alla presenza sempre più consistente di bugie».
«Serve coraggio e consapevolezza per uscire da questa condizione – chiarisce – ho visto casi di guarigione ma il percorso non è semplice perché lo scopo primario di ogni terapia è cambiare il funzionamento del cervello di chi ha questa patologia, imparando a gestire i propri impulsi, trovare consapevolezza del problema e superare vergogna e sensi di colpa. Bisogna anche imparare ad affrontare le emozioni negative che si cercava di nascondere attraverso il gioco, per questo la cura è possibile solo quando il giocatore si rende conto di avere una seria dipendenza, iniziando a superare il modello disfunzionale per cui si associa benessere all’azzardo ma soprattutto l’errata convinzione di poter recuperare giocando ancora quanto si è perso con una provvidenziale fortuna, continuando a perdere sempre di più in un vortice autodistruttivo».
«Come si presenta la situazione nel territorio dell’ULSS3 Serenissima? – si interroga Margutti – i giocatori “tradizionali” che con il lockdown avevano smesso in gran parte hanno ricominciato appena gli esercizi hanno ripreso ad essere accessibili, tanto che dopo un calo significativo abbiamo avuto un rimbalzo nei pazienti seguiti, il nostro territorio ha un triste record italiano: il più alto numero di sale VLT per abitati, 12 ogni 10.000. Nonostante nel 2022 il gioco online ha superato quello offline, nel 2023 abbiamo avuto un picco di over 70 in cura, al momento abbiamo più di 180 pazienti, ma a livello italiano meno dell’1% si fa aiutare su circa 800.000 a rischio serio di ludopatia patologica».
«Come ULSS3 grazie a dei finanziamenti del Ministero della Salute abbiamo realizzato una serie di iniziative innovative per avvicinarci a chi soffre di questa patologia – conclude – abbiamo sviluppato l’app “Chiama e vinci” per smartphone (sia per Android che iOS) una delle poche specialistiche e gratuite, con molte funzioni fra cui la possibilità di contattare personale che mette in contatto chi richiede aiuto con il Ser.D. più vicino, oltre a fornire informazioni e eventi da seguire online, come sedute di mindfullness. Dal punto di vista della terapia stiamo usando anche la stimolazione trans-cranica per controllare il “craving”, l’impulso irrefrenabile tipico delle dipendenze, oltre a focalizzarci sull’analisi dei traumi emotivi dietro al bisogno del gioco. In ottemperanza alla Legge Regionale 38 del 2019, da quest’anno stiamo anche formando i gestori sulla dipendenza da gioco d’azzardo, un’offerta totalmente online in webinar, che interessa anche i dipendenti e aiuta a gestire i clienti ludopatici, orientandoli verso di noi. Entro giugno del prossimo anno coinvolgeremo oltre 5.000 esercenti. Se si smettesse di celebrare le vincite illudendo che siano accessibili, come nel caso della lotteria o del Superenalotto, forse sarebbe un segnale significativo».
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