Grazie alla messa in sicurezza della Basilica di San Marco a Venezia, a seguito dell’installazione due anni fa della barriera di vetro, è ora possibile attuare interventi di restauro che precedentemente con le continue invasioni mareali sarebbero risultati inutili. È quanto è emerso dall’incontro intitolato “La salvaguardia della Basilica di San Marco”, tenutosi mercoledì 30 all’ Hotel Saturnia & International a Venezia, in cui Mario Piana, architetto e proto della Basilica di San Marco, ha fatto il punto sui numerosi e complessi interventi di manutenzione, restauro e sicurezza attuati. L’edifico, delicatissimo, presenta infatti più di cento differenti tipi di marmo ed è la chiesa europea con il maggior numero di colonne: se ne contano più di 900. Il 2024 è stato infatti un anno importante per la Basilica che, finalmente al sicuro dalle acque alte, ha visto compiersi numerosi interventi. Collocata nel punto più depresso dell’area marciana, la Basilica prima della realizzazione della barriera di vetro non era protetta dal Mose, che si attiva con maree oltre i 110 cm, mentre i preziosi pavimenti del nartece cominciavano ad allagarsi già con un’alta marea di 60 cm. Nell’ultimo ventennio l’acqua è entrata in Basilica oltre 100 volte l’anno, creando gravi problemi di dissesto alla veneranda fabbrica che, per via dei suoi marmi e mosaici preziosi, risulta molto sensibile all’azione delle efflorescenze saline, che risalendo nelle murature fino a 11 metri, portano i materiali a espandersi e rompersi. «Nonostante la Basilica sembri una fabbrica quasi completamente lapidea e marmorea, in realtà è principalmente laterizia, rivestita da spessori sottilissimi di circa 2 cm di pietra, tenuti da ganci metallici, dove le perdite anche di piccolissimi elementi possono portare a dissesti preoccupanti e danni strutturali» spiega Piana.
Negli anni ‘60 in Basilica furono creati nel nartece 19 fori e tubi collegati ai gatoli esterni che raccoglievano l’acqua piovana per far sì che l’acqua che entrava defluisse più velocemente. Questo però permetteva all’acqua non solo di defluire ma, al momento della piena, anche di entrare: «Per evitare questo abbiamo deciso di tappare le forine permettendo così alla Basilica di restare all’asciutto fino a 85 – 87 cm, in base a come tira il vento. Solo sopra questa soglia l’acqua poi entra direttamente dalla piazza. – e continua Piana – Facendo così, per quasi un anno abbiamo avuto la Basilica all’asciutto, passando da 110 invasioni a 18». Ma questo ancora non bastava, soprattutto dopo l’Acqua Granda del 2019 che, arrivata a 187 cm, ha invaso per 123 cm il nartece, per 40 cm l’interno della Basilica e per 70 cm la cripta. Ora la cintura vitrea costruita a protezione della Basilica, grazie alla base in calcestruzzo armato, può resistere a spinte idrauliche corrispondenti a inondazioni di quasi due metri. «Questa però è provvisoria: resterà per due o tre anni, fino a che non verranno ultimati i lavori di protezione dell’intera insula marciana» spiega Piana. I lavori prevedono la chiusura del sistema di scolo delle acque, la realizzazione di un sistema di drenaggio, l’innalzamento delle rive con muretti e rialzi e la separazione dei sistemi fognario e di scolo. «I masegni che abbiamo rimosso per realizzarla sono stati numerati e catalogati per essere poi nuovamente rimessi a terra. Questo futuro intervento, come richiesto dalla Soprintendenza, è già stato inserito nel budget iniziale» spiega ancora Piana.
Sono già stati effettuati i lavori di restauro sugli altari di San Giacomo e San Paolo in marmo di Carrara realizzati da Antonio Rizzo. Restaurato in parte anche il delicato tappeto musivo della Cappella del Santissimo che vede due pavoni affrontati. «L’intervento ha permesso di ricostruire e integrare vaste parti danneggiate del mosaico che, a causa dell’Acqua Granda del 2019, aveva perso quasi 1 mq di tessere lapidee» spiega Piana. Durante l’intervento il tappeto centrale è stato distaccato in 38 parti, che sono state immerse in vasche di acqua desalinizzata per rimuovere i sali accumulati. Il mosaico è stato inoltre intelato così da poterlo restaurare al rovescio dopo aver rimosso le malte compromesse: «La ricostruzione del mosaico è poi stata possibile con precisione grazie ad un rilievo a scanner in scala 1:1 che, mostrando la condizione precedente, ha fatto da guida per mettere le tessere esattamente nella posizione in cui erano. – spiega Piana – Dove non è stato possibile usare le tessere originali recuperate, i tasselli mancanti sono stati integrati con tessere di una colorazione attenuata così che restasse traccia dell’operazione». Il tratto centrale con i due pavoni, ancora quello originale medievale, era in buone condizioni, si è pensato quindi di intervenire sul substrato sui cui poggia a scopo precauzionale: «La parte in cui insistono i pavoni è stata scavata per realizzare una barriera impermeabile in vetroresina, così da evitare che la risalita dell’acqua dal terreno riavvii il processo di disgregazione dei materiali lapidei. – e continua il proto – Sono stati poi realizzati due strati di laterizi fatti a mano che, avendo una porosità maggiore dei prodotti a macchina, servono per isolare termicamente il terreno evitando che si formi la condensa».
Gravi anche i danni provocati nel 2019 alle lastre lapidee e marmoree che rivestono le pareti internedell’ala nord del nartece, pari a 23 pietre diverse di rivestimento: «Abbiamo provveduto a smontare le lastre e rimuovere il Portland, un cemento messo a fine ‘800 al posto della calce, che aveva fatto da ponte tra l’acqua e le lastre. Alcune sostanze di questo materiale in presenza di acqua e cloruro di sodio producono sali tra i più aggressivi per i materiali lapidei e gli intonaci» dice Piana, spiegando che queste verranno rimontate lasciando un vuoto tra la lastra e le murature. Verranno inoltre stuccate accuratamente tutte le fessure: «Si è infatti scoperto che se l’aria gira accelera l’evaporazione dell’acqua e delle cristallizzazioni saline, se invece la camera d’aria si satura l’acqua non può evaporare e quindi non può nemmeno formarsi il sale». Ora è invece iniziata la campagna diagnostica sui mosaici della sacrestia: «È l’ultimo grande ciclo decorativo realizzato a San Marco. – conclude Piana – Siamo alla prima fase, necessaria per capire su cosa servirà intervenire».
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