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Medico di base in Veneto? Per una donna è più difficile

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La dottoressa Martina Musto spiega i motivi alla base della protesta dei medici in regione

Da dove nasce il malcontento che ha portato la FIMMG Veneto, la maggior sigla sindacale che rappresenta i medici di base, ad abbandonare le trattative proclamando lo stato d’agitazione? «Credo che i decisori facciano fatica a capire che il ruolo della medicina generale va oltre alla semplice gestione di codici bianchi, noi curiamo ogni aspetto dei bisogni del paziente – racconta la dottoressa Martina Musto di Mestre – il nostro ruolo si basa sulla relazione e continuità dell’assistenza, secondo un rapporto che cresce nel tempo a piccoli passi, è qualcosa di difficile da misurare, ma un valore importante nella qualità di un servizio rivolto alla collettività, noi stiamo chiedendo di essere messi nelle condizioni di poterlo fare e da donna è ancora più complesso».

«Non ci limitiamo a dare risposte a bisogni immediati – aggiunge – ma ci occupiamo di tutti quegli elementi di contorno a un disturbo che sono importanti per chi lo vive, come aspetti emotivi e personali, alle volte si tratta anche “solo” di dare al paziente il supporto umano di cui ha bisogno nel momento in cui ne ha più necessità, ma soprattutto il nostro vero lavoro è la prevenzione, per questo non possiamo limitarci ad alleggerire i pronto soccorso. L’obiettivo è fare in modo che le malattie croniche diminuiscano per fare questo non si può prescindere dalla conoscenza profonda dei nostri assistiti, non è possibile fare questo lavoro solo in perenne stato di emergenza e sovraccarico, ne va della qualità del servizio che di questo passo non reggerà se non si cambia l’organizzazione del sistema».

La dottoressa Martina Musto
Difficoltà e peculiarità del lavoro di medico di medicina generale

«I bisogni di salute della popolazione sono profondamente cambiati – spiega il medico – prima di tutto per l’invecchiamento della popolazione per cui aumentano le patologie croniche, poi per una maggior richiesta di assistenza generalizzata con una conseguente necessità di prevenire diversi disturbi tanto per gli anziani quanto per i giovani. Quindi paradossalmente ci si rivolge di più ai dottori, si cerca supporto anche per motivi per così dire banali. Tutto questo grava su singoli professionisti, che senza validi strumenti di prevenzione finiscono per essere schiacciati da un carico di lavoro in costante aumento».

«Io nello specifico mi occupo molto di diabete – prosegue – non posso però aspettare che tutti i pazienti si presentino già con dei sintomi perché potrei vederli arrivare in preda a complicanze come un’ulcera del piede. Questo non impatta solo sulla vita delle persone ma anche sui costi del sistema sanitario, perciò il nostro ruolo come medici di base dovrebbe essere in prevalenza quello di prevenire le patologie croniche, ma per poter fare bene questa attività serve un’organizzazione con dei collaboratori, io sono una “privilegiata” perché sono all’interno di una medicina di gruppo integrata con la presenza anche di un infermiere oltre a personale amministrativo, ma non tutti i colleghi sono in grado di gestire da soli i costi delle figure di supporto. Il carico di lavoro resta, ma se affrontato in modo efficace si può gestire altrimenti diventa un’odissea».

La ricetta per il cambiamento del sistema

«Forse come categoria negli anni non siamo stati capaci di rendere evidente le caratteristiche del nostro lavoro, perché manca una visione di quello che fa il medico di medicina generale – chiarisce Musto – il personale di supporto di segreteria che chiediamo, va formato per indirizzare in modo corretto il paziente e per smaltire correttamente gli accessi in ambulatorio in modo da migliorare le condizioni per i medici ma anche per garantire un servizio di livello all’utenza. Quello che chiediamo alla Regione non è di lavorare meno ma di metterci nelle condizioni di farlo meglio».

«Per questo bisogna facilitare il lavoro in gruppo – chiarisce – che permette maggiore flessibilità per i medici e accessibilità per i pazienti. La medicina di base andrebbe riorganizzata secondo questa logica e andrebbe sostenuta con investimenti. Altrimenti il rischio è che il privato si insinui fra le carenze del pubblico, in questo senso chi potrà permetterselo si rivolgerà a medici che garantiscono servizi rapidi con una conoscenza però superficiale del paziente, alla lunga questo abbasserà drasticamente la qualità del servizio generale, cambiando completamente il rapporto medico-paziente. D’altronde però, non si può pensare che un dottore visiti e contemporaneamente risponda al telefono e faccia impegnative e ricette».

Essere un medico donna: è ancora più difficile

«Io continuo a fare questo lavoro perché ci credo e ho fiducia in una possibile riorganizzazione – confessa la dottoressa – se fatto in modo sereno, senza correre, potendo dedicare il giusto tempo ai pazienti è una professione bellissima, ma bisogna essere nelle condizioni di poterlo fare al meglio altrimenti la fatica e il sacrificio diventano davvero enormi anche in termini di spazi personali. Io faccio un grosso lavoro su me stessa per ricavarmi dei momenti per non farmi assorbire totalmente dal lavoro, ma alle volte è davvero difficile perché siamo portati prima di tutto a fare il massimo per i pazienti».

«La professione è una parte importante della vita – conclude – ma è giusto non farsi divorare. Io sono fortunata perché mio marito mi ha sempre supportato e aiutato e insieme abbiamo avuto tre figli che stiamo crescendo, ma non è giusto mettere una donna nella condizione di scegliere tra lavoro e famiglia, ci sono molte colleghe che ad esempio hanno dovuto sospendere l’attività durante la maternità perché non hanno trovato sostituti che dessero continuità assistenziale agli studi. I figli non sono solo un investimento personale ma anche per la collettività, sono un atto di fiducia per il futuro. Anche su questo sarebbe bene fare un ragionamento nella riorganizzazione della pratica della medicina di base».

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