È tornata questa sera al Teatro La Fenice, dopo una lunga assenza dal palcoscenico veneziano, l’opera “Mefistofele” di Arrigo Boito: l’ultima rappresentazione in laguna risale infatti al 1969. La prima, apprezzata dal pubblico, è stata trasmessa in diretta anche su Rai Radio 3. Titolo chiave nella storia del melodramma italiano, l’opera della durata di tre ore è proposta in un nuovo allestimento con la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier, con le scene di Moshe Leiser, i costumi di Agostino Cavalca, il light design di Christophe Forey, il video design di Etienne Guiol e la coreografia di Beate Vollack. A dirigere l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice, con maestro del Coro Alfonso Caiani, è Nicola Luisotti, mentre il cast ha visto impegnati nei ruoli principali Piero Pretti, Maria Agresta ed Alex Esposito, con Marta Torbidoni, Kamelia Kader, Maria Teresa Leva e Enrico Casari. In palcoscenico anche le voci bianche dei Piccoli Cantori Veneziani, preparati da Diana D’Alessio. Cinque le repliche in programma nei giorni 14, 17, 20 e 23
Costituita da un prologo, quattro atti e un epilogo, su libretto dello stesso Boito tratto dal dramma in versi “Faust” di Johann Wolfgang von Goethe, “Mefistofele” debuttò al Teatro alla Scala di Milano il 5 marzo 1868 quale manifesto lirico dei nuovi ideali estetici di ispirazione wagneriana proclamati dal giovane letterato e musicista padovano, in polemica contrapposizione con il teatro di Verdi. Boito era considerato la punta di diamante dell’intellettualismo scapigliato della capitale lombarda e, nell’entusiasmo per le tematiche della cultura germanica, vide nella fonte letteraria del dramma in versi “Faust” la possibilità di realizzare l’ambizioso progetto di rinnovamento dell’opera italiana. Dopo il clamoroso insuccesso della prima, Boito rimise mano alla partitura e la riabilitazione dell’opera avvenne nella ‘wagneriana’ Bologna nel 1875.
«Mefistofele è più un affresco filosofico che una normale trama teatrale. – spiega Patrice Caurier – Le questioni affrontate in quest’opera sono universali e non riferibili a un periodo storico, quindi non sarebbe rilevante relegarle al Medioevo. In questo spettacolo ci sono scene diverse, ma lo apriamo con un palcoscenico totalmente vuoto, a parte una poltrona dove è seduto Mefistofele. È un teatro abbandonato. L’opera ci conduce in un giardino, in un carnevale, in un sabba». Tutti luoghi, specifica Caurier, non reali ma ideati da Mefistofele per ingannare Faust. Alla fine, quando Faust si sta riconducendo all’idea di una città ideale, dove la gente si ama reciprocamente, prende un violoncello e attende la morte suonando. – continua Moshe Leiser – La musica può dunque rappresentare un qualche tipo di consolazione». Da sempre affascinato dal mito di Faust è il direttore d’orchestra Nicola Luisotti: «Il mito di Faust siamo noi nel momento in cui ci chiediamo il perché delle cose e desideriamo arrivare a comprendere la verità. – e continua – Faust sono tutti coloro che non si accontentano di una spiegazione data, che pur credendo in Dio, e nella scienza, credono in Dio come a un’entità non trovata, ma reale. Credo che il Faust di Goethe non sia possibile trasporlo in un’opera lirica meglio di come fece Boito nel 1868».
La partitura eseguita segue l’edizione critica a cura di Antonio Moccia: «Toscanini modificò l’orchestrazione nel 1919, l’anno successivo alla morte del compositore, che è stata riportata in questa edizione al suo stato originale. – continua Luisotti – La versione ora in scena alla Fenice è infatti quella che venne data al Teatro Rossini di Venezia il 13 maggio del 1876, con la direzione di Faccio, dove Boito aggiunse per l’occasione la difficile fuga nella ridda infernale e la bellissima aria di Margherita “Spunta l’aurora pallida” nella scena del carcere, già presente nell’edizione di Bologna del 1875, oltre a modifiche varie che faranno diventare la versione di Venezia la più accreditata. – e conclude Luisotti – Sono entusiasta di dirigere proprio a Venezia la prima esecuzione in tempi moderni di questa versione senza le correzioni di Toscanini» Con l’occasione, inoltre, mercoledì 10 è stato presentato alle Sale Apollinee “Il Libro dei versi” di Boito, a cura di Emanuele d’Angelo, uno dei testi fondamentali della scapigliatura milanese. La nuova edizione critica offre l’inedito testo autografo che fissa al meglio la poetica ribelle e demolitrice, ironica, stravagante e aspra che ha generato quei versi, composti tra il 1862 e il 1869, nel pieno della militanza scapigliata dell’autore. Per info e biglietti: www.teatrolafenice.it.
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