Rigenerare un luogo come la città di Mestre? La ricetta per ottenere un’architettura che sia non solo accettata ma al servizio dei cittadini non è semplice, ma non può prescindere dal comprendere la cultura e lo spirito di un luogo. «E’ un processo che serve a scoprire cose nuove ma che deve si deve innervare nella vita della città», ha affermato il professor Michelangelo Savino, professore ordinario di Tecnica e Pianificazione Urbanistica dell’Università degli studi di Padova. Mestre in questo senso dovrebbe riacquistare un’identità propria, per superare l’immagine di appendice di terraferma per arrivare a Venezia, ma serve una visione.
L’occasione per parlare di questa sfida è stato il convegno “Architettura, Urbanistica, Arte. La Cultura trasforma le città”, ospitato giovedì 10 ottobre a Mestre presso l’Auditorium De Michelis del Museo M9 e organizzato in collaborazione dal Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale (DICEA) dell’Università di Padova, la rivista Trasporti & Cultura, l’Ordine degli Architetti PPC di Venezia e l’Ordine degli Ingegneri di Venezia. «Senza cultura è impossibile pensare a trasformazioni di ampio respiro – ha dichiarato in avvio Laura Facchinelli, Direttrice della rivista Trasporti & Cultura – per questo con le giuste strategie i turisti possono venire anche per Mestre e scoprirne l’offerta museale ed espositiva».
Mestre, figlia di un’anarchia costruttiva nel Dopoguerra e di diversi interventi regolatori per sanarne gli eccessi, è priva di un concetto d’insieme dal punto di vista architettonico, questo comporta che se “essere mestrino” è un sentimento riconosciuto, ci vorrebbe anche uno stile urbanistico riconoscibile. «Un po’ come per gli eventi – ha spiegato Savino – non basta farli, bisogna integrarli nella vita della città per aumentare bellezza e vitalità prima di tutto per i residenti, per questo comprendere la cultura di un luogo non può che essere la base per attività di rigenerazione urbana. L’obiettivo è trasformare lo spazio della cultura in spazio pubblico e collettivo per aggregare».
«In questo senso anche i luoghi in cui si fa cultura – prosegue – non possono essere elementi isolati di un progetto urbanistico di città, ma piuttosto espressione di precise politiche urbane. In questo senso la trasformazione e il riuso possono essere grandi opportunità, come nel caso delle docklands di Amsterdam attorno al Museo Numa, che sono state inserite in un grande progetto di rigenerazione cittadina, dando ai cittadini possibilità di riappropriarsi di questi spazi. Pensiamo al Museo M9, una struttura interessante ma che non fa parte di una politica urbana integrata, perché è mancato il concetto di città dentro cui doveva sorgere». Come ha aggiunto Giovanni Giacomello, ricercatore del DICEA: «La funzione dell’architettura dovrebbe proprio essere quella di distinguere il territorio, rivisitando le città non solo con gli edifici ma anche con in mezzi di trasporto per viverla».
C’è anche un tema legato al recupero di suolo e alla riqualificazione di intere aree per evitare il fenomeno del così detto “sprawl urbano”, ovvero la situazione in cui i metri cubi occupati da edifici e costruzioni sono di gran lunga superiori alla densità della popolazione. «Il Veneto è la prima regione in Italia che ha fissato delle linee guida con una legge regionale, la 11/2004 – ha spiegato Maurizio De Gennaro, Presidente del Centro Studi Urbanistici del Veneto – individuando le regole per l’uso dei terreni, il rispetto delle risorse naturali e la riduzione dei rischi, delineando strategie per il recupero degli aggregati esistenti, peccato che questo percorso sia stato minato dalla crisi economica del 2008».
«L’intervento legislativo si è reso necessario dall’espansione delle città che si allargano, secondo un fenomeno europeo tale per cui oggi l’80% della popolazione residente vive in aree urbane – ha aggiunto – nel nostro territorio questa espansione spesso è stata a rete, con una elevata dispersione della concentrazione di occupazione di suolo. Per adottare quindi un approccio di rigenerazione urbana attraverso una riqualificazione effettiva è necessario adottare un approccio di lettura del territorio attraverso un’analisi di tipo socio-economico, indagando anche i flussi migratori e le nuove necessità a livello di servizio. Si tratta non tanto di progetti ma di processi che mettano in campo sperimentazioni, anche dal punto di vista economico, per non consumare altro suolo e demolire il degrado, tutte cose che richiedono un’architettura di qualità, difficilmente definibile per legge».
«Ma come si cambia effettivamente una città? – si è interrgato Roberto Beraldo, Presidente dell’Ordine Architetti PPC di Venezia – bisogna avere una visione d’insieme e competenze multidisciplinari per saper non solo dialogare, ma comprendere e interpretare lo spirito di un luogo, non basta la tecnica. L’adeguatezza di un progetto non si misura solo sul rispetto delle norme, serve etica e conoscenza approfondita di storia e origine di una città come Mestre e del ruolo dei suoi edifici. Solo così l’architettura può essere una professione di “bellezza”, definendo un armonia con manufatti aderenti alle necessità degli abitanti, se gli edifici non vengono amati da chi deve viverli, sono destinati al rifiuto prima e all’abbandono poi».
«Nelle città oggi si mettono in campo più progetti che processi – ha aggiunto Alberto Ferlenga, dell’Università Iuav di Venezia – e in un panorama in cui le competenze sono state frazionate è tanto più necessaria una conoscenza nuova della complessità. Ripensare a un contesto urbano oggi significa confrontarsi con le esigenze di sostenibilità a livello energetico, economico e sociale. L’idea e la sfida di bellezza che abbiamo davanti è quella di comprendere e fare cultura delle città più che per le città, dando la possibilità di esprimersi attraverso l’architettura, con un riuso che ripensi all’esistente senza musealizzarlo. Il tempo diventa così l’elemento fondamentale per la rigenerazione urbana, tanto per comprendere il presente che per realizzare soluzioni che siano davvero efficaci in termine di usabilità. Mestre ha M9 ma il Museo non ha ancora una città che ha espresso tutto il suo potenziale».
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