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Miele a rischio in Veneto nel 2023

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La produzione più bassa dal 1975 mette in ginocchio gli apicoltori

«Il 2023 a livello di produzione di miele è tragico – il direttivo dell’“APAT Apicoltori in Veneto”, la più antica associazione dei produttori regionali non usa mezzi termini – la colpa? Il cambiamento climatico che mette sotto stress l’ambiente e di conseguenza le api. Dal 1975, anno della nostra fondazione, non siamo mai arrivati a questi livelli: la produzione è sotto i 5 kg per alveare, chi ha prodotto ha fatto il 10% della precedente capacità e tanti apicoltori non ci hanno nemmeno provato».

«Le piogge consistenti della primavera hanno rovinato le principali produzioni, come quella del miele di acacia, tipica dell’area del Montello. Speriamo di recuperare con quella di castagno ma l’anno è segnato – confessano sconsolati dall’associazione – nei periodi di fioritura dell’acacia avevamo circa 20.000 alveari attivi, questo miele rappresenta quasi la metà della produzione di un apicoltore, averlo perso significa aver polverizzato almeno metà del valore economico della produzione annuale».

Il ruolo delle api in agricoltura

«L’ape europea o apis mellifera si è evoluta insieme all’agricoltura dell’uomo, quello che troviamo sulla tavola dipende da lei e dagli altri insetti impollinatori – spiega l’APAT – ci sono piante come il mandorlo che non producono senza le api e altre specie, ad esempio i meleti danno vita solo a un 10/15% di frutti per autoimpollinazione. Per questo vanno tutelate, se non vogliamo trovarci come in Cina dove le persone vanno a impollinare a mano e a breve saranno sostituite da droni».

Il ruolo fondamentale degli insetti impollinatori è riconosciuto ufficialmente dalla legislazione europea e da quella italiana, bisogna ricordare infatti che l’ape è un animale protetto dalla legge (legge n. 313 del 24 dicembre 2004 “disciplina dell’apicoltura”) e nel caso uno sciame in migrazione inizi a nidificare nei pressi di un’abitazione è sufficiente chiamare un apicoltore o i vigili del fuoco per il suo recupero senza costi, distruggerlo o abbatterlo infatti è un reato penale.

Le api in Veneto

Il Veneto nel 2022 ha avuto il maggior numero di attività di apicoltura in Italia, con più di 9200 realtà per quasi 100.000 alveari. La sola APAT ha circa 1200 soci per 24.800 alveari e una produzione stimata in 800 tonnellate fra miele di acacia, castagno, millefiori, tiglio, erba medica, melata, tarassaco e barena. Assieme all’Associazione Regionale Apicoltori del Veneto (ARAV) le due realtà formano quasi il 50% delle attività di produzione del territorio. «Negli ultimi decenni la preparazione tecnica è diventata di buon livello e diversi giovani hanno iniziato questa attività».

«Purtroppo la Regione riconosce qualsiasi gruppo che abbia almeno 50 apicoltori con 600 alveari, in questo modo come categoria siamo divisi e poco incisivi quando si tratta di farci sentire – puntualizzano gli apicoltori APAT – questo disperde molte energie riguardo la salute delle api e significa non riuscire a concordare piani di intervento comuni, anche se alla consulta regionale partecipano le prime quattro associazioni più numerose, ci si trova comunque a mediare fra obiettivi diversi, sarebbe utile invece essere tutti più compatti».

Le minacce e tutela del benessere apistico

«Al momento le minacce maggiori per il fondamentale ruolo delle api nella catena agroalimentare vengono dall’impatto del cambiamento climatico e dall’uso dei pesticidi – chiariscono dall’associazione – le precipitazioni fuori stagione di quest’anno hanno influito sulla produzione di miele di acacia perché le api non hanno lavorato mentre l’anno scorso la siccità ha danneggiato la produzione estiva debilitandole tanto che per salvare alcuni alveari sono state nutrite con sciroppi artificiali».

Nel caso dei fitofarmaci questi costringono l’ape contaminata a smaltirli e non sempre sopravvive e tornando al suo alveare. «La questione dell’impatto dell’uso indiscriminato di queste sostanze è che la tossicità viene calcolata sugli insetti adulti, ma fa danni enormi anche sulle larve e l’effetto di vede dopo 20/30 giorni dal trattamento – spiega l’APAT – la maggior parte degli avvelenamenti deriva da superficialità di certi agricoltori, che non usano in modo corretto i prodotti, creando un danno per tutti gli impollinatori, non solo le api».

«L’agricoltore potrebbe prediligere prodotti meno tossici e facendo i trattamenti in modo corretto ne ridurrebbe la frequenza salvaguardando gli insetti che occupano nicchie ecologiche che altrimenti restano ai parassiti, ma soprattutto andrebbero evitate le monoculture – chiarisce l’associazione – va poi sfatato qualche mito, i viticoltori spesso ritengono dannosa la presenza delle api, ma l’insetto non può rompere l’acino d’uva anzi asciuga quelli danneggiati evitando marciume, muffe e danni su quelli sani, inoltre aggiunge microorganismi utili per la vinificazione, insomma si può evitare di pensare di usare ancora prodotti chimici vietati in Europa come il Chlorpyrifos».

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