Contemporaneità e passato si uniscono in una mostra per rileggere la storia del leone amico di San Girolamo. Si chiama “Lion of God” ed è la prima personale di Walton Ford in Italia, allestita all’Ateneo Veneto a Venezia. Le opere di Ford, artista americano tra i più talentuosi della sua generazione, classe 1960, in unprogetto site specific sono state create in stretta relazione con i dipinti dell’Ateneo. Lion of God presenta infatti una serie di dipinti di grandi dimensioni realizzati ad acquerello che esplorano la dimensione storica, biologica e ambientale dei soggetti rappresentati nella collezione della biblioteca dell’Ateneo, in particolare la figura del leone nell’“Apparizione della Vergine a San Girolamo” di Tintoretto, risalente al 1580. Il percorso espositivo si sviluppa su due sale dell’Ateneo Veneto: l’Aula Magna al piano terra e la Sala Tommaseo, dove l’opera di Tintoretto è esposta al pubblico per tutta la durata della mostra. Lion of God, aperta fino al 22 settembre, è organizzata dalla galleria Kasmin di New York ed è curata da Udo Kittelmann, che ha collaborò con Ford anche in occasione della sua retrospettiva itinerante in Europa intitolata “Bestiarium” nel 2010- 2011.
«Un intenso spunto di discussione sulla nostra relazione con il mondo naturale». Così Walton Ford ha descritto l’“Apparizione della Vergine a San Girolamo” di Tintoretto. Raffigurando San Girolamo in estasi, nel bel mezzo di una visione in cui la Vergine Maria discende dal cielo, il dipinto storico presenta il leone come amico di San Girolamo. Quest’ultimo, infatti, mentre sedeva con i confratelli intento nell’ascolto della sacra lettura, vide entrare nel monastero il leone zoppicante e, mentre tutti i confratelli fuggivano via, andò incontro all’animale per togliergli una spina dalla zampa. Il leone, abbandonata la sua ferocia, visse nel monastero come un animale domestico, a cui inoltre venne affidato l’incarico di badare ad un asino che venne rapito da dei mercanti e poi ritrovato proprio dal leone. L’improbabile legame tra i due personaggi, utopica coesistenza tra uomini e animali, è descritto nel dettaglio ne “La leggenda aurea” di Jacopo da Varazze del 1493, un testo ampiamente diffuso in Europa nel tardo Medioevo che è servito da riferimento anche per l’artista americano. Tintoretto dispiega grande maestria nella narrazione, condivisa anche da Ford, e dipinge il suo leone posizionandolo in ombra, nella parte inferiore dell’opera.
Ford ripercorre la storia cambiandone però la prospettiva. In uno dei nuovi dipinti, di quasi tre metri, l’artista britannico ribalta l’inquadratura del pittore veneziano per mettere in primo piano l’esperienza dell’animale. In “Phanton” infatti non compare nessuna figura umana, nemmeno San Girolamo, ma solo il leone a grandezza naturale, con i muscoli tesi visibili sotto la pelliccia. Dalle sue fauci gronda del sangue mentre stringe tra i denti un libro, a sottolineare che non solo la natura ma anche la cultura umana può essere una minaccia. A fianco a lui, inoltre, un cespuglio allude alla corona di spine di Cristo. L’indagine filosofica continua di Ford sui modi in cui interagiamo e allontaniamo dalle specie animali richiama una delle questioni più urgenti del nostro tempo: la terribile crisi ecologica che stiamo vivendo. L’opera di Ford sovverte le convenzioni legate ai tentativi dell’uomo di categorizzare e interpretare il mondo naturale, attingendo a schizzi, diorami naturalistici, documenti zoologici, mitologia, favole e storia dell’arte. Pur alludendo agli studi nel campo delle scienze naturali del XIX secolo, la poetica di Ford è ampia nei suoi riferimenti, sollecitando lo spettatore ad individuare questi indizi frammentari come chiavi di lettura per svelare l’evento storico o immaginario rappresentato nell’opera. Le opere dell’artista risultano anatomicamente precise per via dell’osservazione ravvicinata di esemplari tassidermizzati presenti in collezioni museali. Ispirandosi così alla Leggenda Aurea, Ford rivela le tracce del conflitto traumatico tra uomo e natura in varie forme storiche-culturali, muovendosi in maniera simile ad uno psicanalista di orientamento freudiano. L’artista sfida così l’iconografia tradizionale cristiana e occidentale intrecciandola con elementi provenienti da tradizioni culturali extraeuropee e relativizzando il presunto antropocentrismo, ribaltando gli schemi di percezione e interpretazione.
Con questa mostra Ford ribadisce anche che come l’immagine del leone si riconduca ad un simbolo, specie a Venezia incarnando la figura dell’Evangelista Marco, ma può valere anche come metafora di un sovrano o di Cristo. Prorpio come è esplicito nell’opera “An Apparition” dove, mentre il leone trasporta una cesta carica di libri sulla schiena, non si può non pensare all’immagine di Gesù sul Calvario. Inoltre svolge anche un’analisi attuale: l’uomo nel tempo ha applicato sofisticati tentativi per superare la paura verso un animale letale. Mentre infatti un tempo i leoni si aggiravano in vaste regioni del Vecchio Mondocome testimoniano gli scrittori antichi, oggi invece si trovano in natura solo nelle aree protette del Sud del Sahara e nella foresta di Gira in India. In pochi secoli l’umanità ha eliminato i leoni in gran parte del pianeta o li ha confinati negli zoo, circoscrivendo così la minaccia. La mostra di Ford in questo senso pone una riflessione sull’allarmante estinzione delle specie. Il leone in Ford funge così da struggente promemoria per la fine dell’antropocene, sottolineando la dipendenza dell’uomo nei confronti della natura e invitando ad un rapporto nuovo. «Nella ricerca di analogie tra passato e presente, i dipinti di Walton Ford sovrappongono rappresentazioni intricate di storia naturale con una lettura critica contemporanea. – spiega il curatore Udo Kittelmann – Nei suoi lavori, che possono essere visti come una satira dell’oppressione politica e lo sfruttamento ambientale, egli mette in discussione il concetto di “sempre nuovo” e “sempre migliore”. – e continua – Per essere precisi, i suoi dipinti sono un racconto sull’arroganza della natura umana di ieri, oggi e domani».
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