“A cosa servono i palloni incastrati sotto alle marmitte? A ricordarci quando fuori si giocava fra le 127” (Che vita, Samuele Bersani).
La mamma: «Fatti lo zaino, possibile che te lo debba fare sempre io…?».
Il papà: «Non sei neanche capace di allacciarti le scarpe da solo!».
I nonni: «Ma è ancora piccolo…».
La maestra: «Signora, non è questione di intelligenza, gli manca l’autonomia…».
Ricorda qualcosa, eh? Una delle questioni più dibattute, da parecchio tempo, è la mancanza di autonomia dei bambini e dei ragazzi di oggi. Arrivano ad un età in cui ti aspetti che siano autonomi e, invece, ti trovi il classico pandolo che ti guarda sperduto. Oddio, ma cos’è successo? Un’involuzione della specie umana? Andando avanti così il ritorno alle caverne è ad un passo…
A mio modesto avviso si è solo avverata una legge di mercato: tanto più un bene è raro, tanto più aumenta il suo valore. E, ormai, non c’è nulla di più raro di un bambino. Negli anni Sessanta, epoca della nascita del boomer che scrive, il 5% delle famiglie aveva un figlio, il 20% ne aveva due e il 75% più di due. Adesso l’unica percentuale costante riguarda i due figli per famiglia, le altre si sono invertite. Per non parlare poi delle famiglie di cui figli neanche l’ombra…
La tanto agognata autonomia del ragazzino va però insegnata e soprattutto praticata fin da piccoli. E qui ci scontriamo con gli adulti e il loro mantra. «Erano altri tempi» dice la bisnonna cresciuta durante la guerra. «Ai miei tempi non c’erano tutti questi pericoli» dice il nonno cresciuto durante gli anni di piombo, quando anche in centro a Mestre si sparava (Albanese non è solo un parco, Taliercio non è sempre stato un palasport…).
Vorrei che i miei coetanei facessero l’appello di quanti ragazzi hanno visto morire per overdose negli anni Settanta. Effettivamente solo i genitori degli anni Ottanta – Novanta sono vissuti senza grossi rischi, almeno in Italia. Se, invece, pensiamo ai genitori immigrati la musica è stata decisamente diversa.
Di conseguenza oggidì non esiste più un posto dove un bambino possa fare il bambino. C’è sempre un adulto occhiuto che vigila – l’allenatore, l’istruttore, la maestra… – e indirizza. Persa così la possibilità di fare le proprie esperienze, nel bene e nel male. Per carità, credo sia un bene che i bambini non giochino più per strada, ma non giocano più neppure in cortile, forse in qualche campo, sia di Venezia che in campagna, ma ho dei dubbi, vista la proliferazione di turisti e dei trattori.
Mi sembra di essere un vecchio brontolone, e probabilmente lo sono, ma quanti bambini vanno semplicemente a scuola da soli, anche se la scuola dista poco da casa e non ci sono strade da attraversare? «E se poi si perdono?». «E se poi fanno tardi?». Direi che possiamo dubitare che un bambino delle elementari non sia in grado di trovare la strada per la scuola – sempre che non scelga altrimenti – e se durante il tragitto si fermerà a curiosare in giro, e se qualcosa attirerà il suo interesse, va bene, pazienza, quel giorno arriverà in ritardo, prenderà una sgridata e non lo farà più.
Potrebbe sembrare rivoluzionario, ma se i bambini andassero a chiamarsi uno con l’altro per fare le strade assieme? È vero che c’è, qua e là, il pedibus, ottimo per lasciare a casa la macchina e fare del moto, ma c’è sempre il guidatore del pedibus che sorveglia. Come dicono quelli che sanno: mancano gli spazi non strutturati, ma per ricrearli basterebbe far scomparire gli adulti per qualche mezz’ora dalle vite dei bambini.
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