
Sono opere inedite che rivelano nuovi dettagli circa l’arte e lo stile di Jacopo Palma il Giovane e ne sottolineano il ruolo come anticipatore dello stile caravaggesco. È quanto si apprende alla Scuola Grande dei Carmini nella mostra dossier “Jacopo Palma il Giovane ritrovato” a cura dello storico dell’arte Marco Dolfin. Nell’allestimento realizzato nelle sale adiacenti alla Sala Capitolare sono presentate al pubblico tre opere inedite di Palma il Giovane (1548/50 – 1628), recentemente ritrovate e mai esposte al pubblico, che restituiscono nuova luce sulle modalità di lavoro usate dal pittore. Si tratta di una pala d’altare raffigurante l’Adorazione dei pastori, un Autoritratto giovanile e un disegno del 1621, tutti appartenenti a collezioni private. «Questi lavori si aggiungono al già ampio catalogo di Palma il Giovane, costituendo tuttavia tasselli significativi per comprenderne meglio l’evoluzione del linguaggio, la varietà dei registri espressivi e la qualità della produzione, tra le più significative della pittura veneziana tra Cinquecento e Seicento» sottolinea Dolfin.
Di grande intensità narrativa è la pala “l’Adorazione dei pastori” che, datata intorno al 1595 e riscoperta in una collezione privata genovese, sorprende per la drammaturgia luministica. «La pala anzitutto è importante perché anticipa riferimenti alla dimensione realistica che saranno poi attuati da Caravaggio» spiega Dolfin. È attestato che nel 1593 Caravaggio si recò a Venezia, non è escluso dunque che Palma lo abbia visto al lavoro. «Il dipinto, un tempo erroneamente attribuito al Padovanino, si distingue inoltre per qualità esecutiva e per elementi iconografici ricorrenti nella produzione sacra dell’artista, qui risolti con inedita potenza visiva se messi a confronto con l’opera coeva che presenta lo stesso tema al Museo Puskin di Mosca» dice il curatore, sottolineando che l’opera si caratterizza per un forte un senso di dinamismo grazie alla disposizione circolare ascendente. Il pastore presentato in primo piano dà le spalle alla figura di Gesù bambino. Cosa strana è che è accompagnato da un bue, solitamente vicino all’asino: «Forse l’opera vuole sottolineare la cecità di questi nei confronti della rivelazione divina» sottolinea Dolfin. «L’opera si distingue anche per la costruzione per coppie simmetriche, secondo uno schema compositivo che riflette il lascito del Veronese ma prelude sorprendentemente al naturalismo caravaggesco» ha osservato invece il prof. Sergio Marinelli, che insieme a Dolfin ha co-curato il catalogo dedicato alla mostra dossier,edito da Arte Rara Edizioni, che vede saggi firmati anche da Andrea Piai e Michele Vello. Una costruzione duale che permette alla composizione di esprimersi in modo ritmico. Due sono infatti angioletti rappresentati nell’opera, due sono anche i bambini dipinti, mentre San Giuseppe dialoga con il pastore e la Madonna si rapporta con la pastorella «in un dialogo tra sacro e profano» sottolinea ancora Marinelli.
È interessante notare che la pala, nel tempo portata a una forma quadrangolare, inizialmente intorno al 1660 doveva trovarsi a Venezia in una collocazione pubblica: «Presso un antiquario ho trovato un dipinto di un imitatore di Palma che in un’adorazione dei pastori riprende in modo pressoché identico elementi del quadro come il bue in primo piano e il panno bianco su cui è presenta la figura del bambino» sottolinea Marco Dolfin. Anche Antonio Zanchi dipinse un filosofo nella stessa pozione del pastore. Da quest’opera emergono anche altri dettagli significativi: «Molte opere di Palma presentano queste figure in torsione come il pastori in primo piano, così come la figura del bambino sulla sinistra che indica. – e continua Dolfin – Si possono poi apprezzare dettagli come le pagliuzze realizzate con pennellata vibrante e i colpi di luce sui panni dei personaggi».
Per quanto riguarda “l’autoritratto” risalente al 1580, questo attesta invece la raffigurazione più giovane scoperta di Palma il Giovane, che amava autoritrarsi. Molti infatti sono gli autoritratti realizzati appositamente o le opere in cui si inserisce tra i personaggi rappresentati, così come numerosi sono anche i disegni in cui si raffigura. «Tra i primi autoritratti fino ad ora si conosceva quello del 1585 conservato alla Pinacoteca di Brera a Milano. L’autoritratto da poco scoperto invece è privo dei peli bianchi della barba e mostra un volto appunto molto più giovanile diventando a tutti gli effetti il primo autoritratto conosciuto in ordine cronologico. – e continua Dolfin – Se l’autoritratto di Brera mostra un Palma il Giovane 35enne, qui con la barba nera non si ritrae come un pittore con la tavolozza in mano, ma lo fa comunque in modo audace, guardando verso lo spettatore vestendo una sontuosa veste e un importante colletto».
Il Disegno “I Santi Lucia, Rocco e Sebastiano”, datato 1621 e pubblicato pochi mesi fa dalla storica dell’arte Stefania Mason, testimonia invece la corposa attività grafica di Palma. «Secondo le fonti disegnava instancabilmente. – sottolinea Dolfin – Questo foglio, un tempo appartenente alla storica collezione Sagredo di Venezia, realizzato con straordinaria raffinatezza tecnica su una carta quadrettata con cenni di biacca, appartiene a quella produzione autonoma che l’artista destinava non solo allo studio, ma anche alla riflessione personale e alla circolazione tra collezionisti e amici». Nei suoi disegni Palma amava sperimentare tecniche diverse su carte colorate, raggiungendo una libertà inventiva e una varietà espressiva che lo posero ai vertici della grafica veneta dell’epoca. I disegni venivano solitamente realizzati dagli artisti come studi preparatori di un’opera: «Non sappiamo se la composizione, che pare richiamare quella di una pala d’altare con al centro la figura di Santa Lucia, abbia avuto una realizzazione finale, se esista ancora o sia mai stata realizzata» conclude Dolfin, sottolineando che se da un lato la mostra porta nuova luce sul pittore dall’altro apre anche nuovi quesiti. «Siamo felici di ospitare una mostra di tale spessore, che inaugura un nuovo ciclo di attività espositive promosse dalla Scuola dedicate alla valorizzazione dell’arte veneta tra Cinquecento e Settecento, attraverso nuove ricerche e studi critici» ha detto il Guardian Grande Franco Campiutti. L’esposizione, compresa nel biglietto di visita alla Scuola, resterà aperta fino all’8 giugno.
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