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Nuove opere da frammenti fotografici: l’intuizione di Fontcuberta

Sono in mostra al Museo Fortuny dodici light box dell’artista catalano Joan Fontcuberta nate da frammenti fotografici del Fondo Chigi

Da antichi frammenti fotografici deteriorati nascono nuove opere. “Joan Fontcuberta. Cultura di polvere” è la mostra allestita al Museo Fortuny di Venezia, che fino al 10 marzo vede esposte dodici light box realizzate dall’artista catalano Joan Fontcuberta (Barcellona 1955), grazie all’esito del dialogo intrapreso con le straordinarie collezioni storiche dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) di Roma, nato nel 1895 come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione. Le creazioni di Fontcuberta sono nate durante il programma a cui l’artista ha preso parte “ICCD artisti in residenza”, a cura di Francesca Fabiani, che nasce con lo scopo di far dialogare un fotografo con le consistenti raccolte storiche fotografiche dell’Istituto. Durante la sua residenza Fontcuberta ha scelto di operare su alcune lastre fotografiche deteriorate provenienti dal Fondo Chigi, punto di partenza per una serie di sperimentazioni visive e linguistiche. Il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), rampollo di una delle casate nobiliari più ricche e potenti della storia, che ha dato i natali a banchieri, mecenati, cardinali, santi e papi, fu naturalista e fotografo amatoriale. Nel corso delle sue sperimentazioni fotografiche, che anticipano di qualche lustro le acrobazie virtuali di Photoshop, Chigi approda spesso a soluzioni sorprendenti che ben dialogano con l’intelligenza provocatoria, l’audacia linguistica e l’ironia di Fontcuberta. E così, a distanza di oltre un secolo, le più reiette e inservibili fotografie di Chigi, resuscitando dalla polvere dell’archivio, tornano a parlare nella mostra promossa dall’ICCD in collaborazione con i Musei Civici Veneziani. Un progetto, quello presentato in mostra, che ha inoltre vinto il “PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea” promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Tutto parte da foto inservibili

«Posso vedere il materiale fotografico più degradato che avete in collezione?». È chiedendo di far uscire gli scheletri dall’armadio che ha avuto avvio la residenza di Fontcuberta al ICCD. L’artista, uno dei più seguiti e geniali affabulatori della fotografia contemporanea, ha così preso in visione fotografie talmente rovinate da risultare inservibili, almeno al fino al suo arrivo. «Tutto il suo lavoro ha a che fare con la messa in discussione delle tante false convinzioni attorno alla fotografia: sul concetto di autorialità, sul suo essere un’attestazione di verità, oppure sulla sua immortalità, che è proprio il tema di questo lavoro» spiega la curatrice Francesca Fabiani.  La scelta di Fontcuberta di operare su oggetti deteriorati nasce dal desiderio di verificare quanto incidano sullo status della fotografia il venir meno della sua integrità materiale e la sua deperibilità: «Questo lavoro analizza l’agonia della fotografia. Il suo deterioramento materiale genera una fotografia paradossalmente “amnesica”, senza più memoria. La presunta immortalità della fotografia pertanto si è rivelata falsa» spiega Fontcuberta.

Nuovi segni di memoria

Materiali fotografici che, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, soprattutto, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce. Attraverso un procedimento di tipo surrealista, che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati, Fontcuberta selezionando il frammento della lastra compie il suo atto creativo restituendo immagini quasi astratte eppure reali. Si tratta di paesaggi poco plausibili, eppure assolutamente non manipolati, presentati attraverso il display delle lightbox.

Il legame con Mariano Fortuny

La mostra inoltre non solo rievoca la comune nazionalità tra l’artista e il “padrone di casa” Mariano Fortuny y Madrazo, ma soprattutto il profondo legame del palazzo con la fotografia, dalle sperimentazioni di Fortuny al suo ricchissimo archivio, centro d’avanguardia della fotografia negli anni Settanta e Ottanta. Tra le manifestazioni più importanti legate al Museo Fortuny non si può non ricordare “Venezia ’79. La Fotografia”, nata dalla collaborazione tra International Center of Photography di New York, UNESCO e Comune di Venezia. Un evento consistito in venticinque mostre in città, seminari, conferenze, laboratori e workshop, che aveva come centro dell’attività formativa proprio Palazzo Fortuny. Alla manifestazione prese parte anche Fontcuberta che, appena ventiquattrenne, fu tra i protagonisti della mostra “Fotografia europea contemporanea” ai Magazzini del Sale, curata da Sue Davis, Jean-Claude Lemagny, Alan Porter e Daniela Palazzoli. L’esposizione al Museo Fortuny riporta così l’eco di un sentimento che si aggiunge al lavoro dell’artista come uno strato di storia e di memoria: «Non intervengo sull’immagine, attuo una disciplina oggettivista, di tipo surrealista; un incontro fortunato con l’oggetto» dice Fontcuberta, che nel suo nuovo progetto presentato a Palazzo Fortuny ha avuto una duplice veste, assumendo il ruolo dello spectator e, al contempo, quello dell’operator.

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