Cosa è rimasto dall’esperienza della pandemia da Covid-19? «Tanta scienza e qualche lezione di vita, soprattutto come si fa e non si deve fare informazione scientifica». Il Professor Giorgio Palù, Presidente di AIFA, alla domanda non ha esitazioni: «Diversamente da altre scienze la medicina non è proprio una scienza esatta, perché richiede prove e verifiche, ma nonostante questo ne parlano tutti, sia chi ha competenze e chi non ne ha, abbiamo visto molte comparsate di pseudo-esperti ognuno con le sue teorie che hanno fatto grande confusione quando invece sarebbe stato meglio avere una sola voce autorevole per la responsabilità di comunicare, come hanno fatto in USA, Germana e Regno Unito».
Ospite di un Interclub fra vari Rotary Club della Città Metropolitana di Venezia, presso la sede di ritrovo del Venezia Mestre, il celebre virologo partendo da una panoramica sui virus ha affrontato il tema delle terapie innovative: «La medicina fa grandi progressi e avanza in modo rapidissimo – ha spiegato il medico – ma in situazioni di emergenza come le pandemie, le scelte strategiche dovrebbero essere centralizzate e in mano a chi governa la salute e non sparse come abbiamo visto fra ogni Paese in Unione Europea. Se vogliamo dimostrare di avere imparato qualcosa da questa esperienza sarà necessario strutturare unità di preparazione a future minacce, con board di esperti di vari settori, perché se la comunicazione deve essere centralizzata, le decisioni devono nascere dal confronto tra discipline diverse e vari punti di vista».
«Il virus è un microrganismo molto attivo ma non autonomo – ha spiegato l’esperto – è un maestro del mascheramento ma a differenza di altri microbi dipende interamente dalle cellule, è un parassita che necessita di organismi ospitanti per riprodursi, le sue prime tracce risalgono a 20.000 anni fa e quella dei coronavirus ne è la più grande famiglia. Per arrivare all’uomo i coronavirus hanno bisogno di un ospite intermedio, tutti sono partiti da animali, anche se per quello di Wuhan, non si è trovato il collegamento con il pipistrello da cui si è certamente originato, di sicuro però sappiamo che il famoso laboratorio non rispettava le norme del livello 4, l’insieme di standard previso per virus di questo tipo e che alcune ricerche USA sono state delegate ai cinesi».
«Ogni virus pandemico fa sparire il precedente, diventando endemico. Le pandemie hanno infatti una durata limitata poiché l’interesse del virus è resistere, non uccidere chi infetta ma colpirlo senza essere letale – ha chiarito Palù – tutto in qualche modo si bilancia, basti pensare che nel nostro intestino conviviamo con circa 50 trilioni di batteri e per questi ne esistono in natura quasi il doppio o triplo di virus, quindi basta poco per rompere equilibri così complessi, quasi un battito d’ali di farfalla usando la metafora della teoria del caos. Per scatenare la ricomparsa dopo 20 anni del virus H1N1 nel 1977 è bastata una fuga da un laboratorio sovietico che ha prodotto 700.000 morti. Arriveranno altre pandemie, ma il rischio maggiore al momento proviene dall’antibiotico resistenza, per l’uso errato di farmaci ha reso i batteri quasi immuni causando così 10 milioni di morti all’anno nel mondo».
«La pandemia ci ha lasciato diversi strascichi – racconta il dottor Giovanni Leoni, Presidente dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri di Venezia – ma soprattutto ha dimostrato che per trovare le soluzioni è necessario uno studio scientifico approfondito e che un approccio semplicistico è molto pericoloso. Il lato positivo è che anche i pazienti sono più preparati dal punto di vista della cultura medica, però scontiamo il modo negativo in cui sono stati presentati i vaccini, soprattutto attraverso i social network e alcuni mezzi di comunicazione. Restano però uno strumento importante per contenere i virus, anche quello influenzale, infatti sarà fondamentale fare uno sforzo per una comunicazione positiva con l’impegno dei medici di base che sono in prima linea nel rapporto coi pazienti».
«Il futuro prossimo vedrà la diffusione di nuove tipologie di cure – aggiunge – attraverso la così detta terapia genetica, ricavando farmaci secondo le precise caratteristiche del DNA del paziente, le patologie oncologiche saranno assolute protagoniste di questo ambito, che assieme a quelle infettive sono sotto il controllo del sistema immunocompetente, che con la sua funzione di controllo sugli errori di combinazione delle cellule è erroneamente alla base della formazione dei tumori. Abbiamo visto una spinta importante dell’industria farmaceutica per il vaccino contro il SarsCov2, mentre la ricerca sugli antibiotici è ferma agli anni ’80, è necessario quindi colmare questo gap anche attraverso un’educazione al corretto uso di questi farmaci. I vaccini restano in ogni caso importanti tanto per prevenire l’influenza che il Covid, i cui effetti a lungo termine sono ancora da valutare a livello di cronicità nel tempo. Quindi sì all’uso del vaccino per la prevenzione e no a quello indiscriminato di farmaci per cercare di rimediare quando la patologia è già presente».
«In questo senso – ha aggiunto Palù – la tecnologia mRNA oltre alle malattie monogeniche, con un solo gene da correggere, con il supporto dell’intelligenza artificiale permetterà la creazione di farmaci sempre più su misura ed efficaci anche per i tumori che sono poligenici, oltre che causati per il 20% proprio da virus. Il tema vero per il futuro non sarà quindi tanto riuscire a garantire le cure, ma rendere la spesa sostenibile per il sistema sanitario. Nei prossimi anni il mercato verrà inondato da farmaci per le terapie geniche come gli anticorpi monoclonali, che sono costosissimi. Il dibattito sarà quindi sul diritto alla cura e la sostenibilità e accessibilità economica, assieme alla concentrazione a livello informatico di tutti i dati regionali per poter fare rapidamente proiezioni nazionali».
«Il ruolo di AIFA sarà quello di valutare in tempo reale l’efficacia dei farmaci – ha concluso – in un’epoca in cui la gente si è abituata a volere soluzioni rapide per risolvere patologie già in atto la sfida è abituare all’uso di farmaci che le prevengano, come nel caso dei vaccini, affrontando le resistenze psicologiche che sono ancestrali nell’essere umano che è più bravo a riconoscere e difendersi da un pericolo immediato rispetto a fare valutazioni del rischio sulla lunga distanza. In questo Internet, che è diventato un luogo in cui rafforzare le proprie convinzioni invece che di scambio e apprendimento, non aiuta. Inoltre paradossalmente il progresso della medicina ci ha fatto abbandonare l’idea del male, in giro non si vedono più tanti bambini o persone malate come nel secolo scorso, abbiamo rimosso queste scene, quindi essere no-vax significa soprattutto rifiutare la valutazione del rischio e per far capire questo concetto ci vuole una profonda educazione e tempo, non basta un post su un social network».
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