Giovedì 24 ottobre, nella Scuola Grande di San Marco, il Patriarca Francesco Moraglia ha condiviso la sua visione sul futuro di Venezia e sulla sfida che la città deve affrontare per mantenere il proprio equilibrio tra la preservazione del patrimonio culturale e la crescente pressione turistica e sul rapporto con l’Europa.
Con circa 28 milioni di visitatori annuali, la città è messa a dura prova. «Venezia non è solo bella», ha ricordato Moraglia. «È una città unica, un’opera d’arte vivente che racchiude la bellezza naturale e architettonica, ma la sua fragilità richiede attenzione e rispetto».
Moraglia ha richiamato l’importanza di porre dei limiti al turismo, affermando che «il turismo è un alleato di Venezia, ma rischia di essere al contempo la causa stessa del suo degrado».
Con consapevolezza, ha ammesso che trovare un compromesso tra l’interesse economico e la salvaguardia della città può portare a scontri, ma l’obiettivo della riqualificazione sostenibile e della valorizzazione ambientale rimane prioritario. Per Moraglia, «chi ama davvero Venezia soffre nel vederla deteriorarsi».
La basilica di San Marco, uno dei simboli più rappresentativi della città, è per Moraglia il segno tangibile dell’incontro tra Oriente e Occidente, tra Bisanzio e Venezia, un richiamo alla vocazione multiculturale e multireligiosa della città.
«Non solo la Basilica, ma anche il Ghetto Ebraico e la prima chiesa luterana fuori dalla Germania rappresentano questa identità eterogenea che ancora oggi definisce Venezia», ha spiegato il Patriarca.
Infine, Moraglia ha condiviso una visione per il futuro di Venezia, che, a suo avviso, dovrebbe orientarsi verso un equilibrio tra modernità e sostenibilità.
«Bisogna cercare di declinare Venezia in un contesto in cui c’è un clima favorevole, in cui l’ambientalismo e una saggia tecno scienza possano aiutarla a rappresentare nel futuro quella che è stata la vocazione della città».
«In una società sempre più multietnica, multiculturale e multi religiosa o riusciamo a trovare dei valori comuni fondanti oppure sarà anarchia», ha affermato il Patriarca. «Valori come la persona, la libertà e l’uguaglianza devono essere temi comuni a tutta l’Europa».
Francesco Moraglia invita inoltre a un dialogo che non dimentichi il contributo culturale della religione cristiana. «La religione non solo nutre la fede, ma crea cultura. Concetti come persona, libertà e coscienza hanno radici profondamente cristiane».
«La vera fede è quella che si confronta con la ragione, perché un atto di fede non ragionevole non è sufficiente per giustificare il credere», ha continuato il Patriarca. «La tentazione contemporanea è l’agnosticismo, un atteggiamento di sospensione del giudizio, spesso motivato dal bisogno di comprendere ogni cosa».
L’atto di fede, secondo il Patriarca, è paradossalmente più logico di quanto possa sembrare, perché «di fronte all’assurdo e all’ignoto, l’uomo è naturalmente portato a interrogarsi, a voler capire».
In questo senso, l’ignoto diventa un punto di partenza, uno stimolo alla conoscenza e alla riflessione.
Infine, interrogato sul coraggio di Marco Polo e sul significato dell’ignoto, Moraglia ha parlato del viaggio come metafora dell’esistenza umana. «L’uomo nella sua vicenda personale non può pretendere di sapere i tempi e le modalità del viaggio della vita. La vita stessa è un pellegrinaggio».
Questo tema si rivela particolarmente significativo nell’attesa dell’Anno Giubilare, che porterà con sé l’invito al pellegrinaggio, richiamando gli uomini a considerare la vita come un cammino verso un traguardo spirituale.
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