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Polesel: la casa di riposo del futuro? Aperta e multiculturale

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Il Presidente di IPAV Venezia traccia un bilancio della residenzialità delle RSA ipotizzando un futuro prossimo

Il welfare assistenziale del futuro? «Dovrà essere completamente ripensato, aprendo le case di riposo al volontariato e a nuovi modelli organizzativi, preparandoci ad accogliere ospiti e personale formato da “nuovi” italiani, frutto di integrazione. Abbiamo al massimo 5/6 anni per prepararci a reggere il contraccolpo del cambiamento che l’aumento del numero di anziani e il calo della natalità ci imporrà». Luigi Polesel, Presidente dell’IPAV Venezia, l’istituzione pubblica che gestisce una pluralità di servizi socio-assistenziali per la città di Venezia, nato dalla fusione fra IRE (Istituzioni di Ricovero e di Educazione) e Antica Scuola dei Battuti non offre spazi all’inerzia per il settore.

Ospite del Rotary Club Venezia Mestre il 25 gennaio, il manager ha tracciato una sintesi della situazione attuale per l’ente: «Come IPAV siamo a una saturazione del 95% dei nostri 831 posti letto rivolti agli anziani, mancano però le impegnative della sanità regionale che coprono 52€ di spesa giornaliera per ospite, questo significa che le famiglie che vorranno questo servizio dovranno pagare più dei 63€ dei convenzionati, circa 90€. Quindi paradossalmente meno fondi regionali significano meno entrate per IPAV, che essendo pubblico punta al pareggio di bilancio e non al profitto. Ma come potranno far fronte a queste spese in futuro le famiglie se saremo sempre più soli, non autosufficienti e con meno figli?».

Le difficoltà del settore: il tema delle coperture economiche

«La Regione è riuscita a dare delle risposte ai nostri campanelli di allarme – spiega Polesel –rendendo disponibile un finanziamento di 20 milioni di euro in più all’interno del fondo per l’autosufficienza, che però non basta a coprire i differenziali di costo, è stato un primo segnale ma speriamo si possa rivedere già nel corso del 2024. Come enti IPAV siamo legati alla legge Crispi del 1890, nonostante la materia sanitaria in Veneto sia padroneggiata in modo abbastanza diretto, non abbiamo subito i processi di modernizzazione di Emilia Romagna e Lombardia che hanno evoluto le strutture in fondazioni la prima e soggetti più vicini alla logica del privato la seconda».

«Al momento nel Consiglio dei ministri si sta affrontando il tema con il decreto attuativo della legge 33/2023, che stanzia 1 miliardo sulle politiche in favore delle persone anziane, sia per il loro benessere che l’assistenza – prosegue – questi investimenti andrebbero dedicati alle fasce più deboli per famiglie con ISEE molto basso in affiancamento all’indennità di accompagnamento. Se si tradurrà in questo modo l’applicazione della legge, si potrebbero vedere degli effetti, però resta il tema dell’assistenza extra-ospedaliera, che dovrà essere parificata a quella geriatrica ripensando al carico assistenziale dei centri di servizi in termini di costi, nelle case di riposo infatti i numeri di assistiti si moltiplicano ma non si può dire lo stesso per i fondi. Paradossalmente andrebbe ripensata il concetto di residenzialità, perché le strutture potrebbero alleggerire il carico delle geriatrie, però con nuove soluzioni intermedie, come il social housing, che rallentino l’ingresso in RSA creando un terreno intermedio».

Il nodo del personale per le case di riposo

«Le strutture devono poi far fronte non solo ai costi crescenti, ma anche alla cronica mancanza di personale – spiega il manager – le motivazioni sono più di una: un aspetto legato soprattutto agli operatori socio-sanitari (OSS), questo è un lavoro che si fa o per vocazione o spesso come ripiego, noi come ente pubblico assicuriamo un livello salariale dignitoso, ma esiste il tema della valorizzazione economica della professione. Riguardo agli infermieri, la carenza va imputata alla programmazione errata da parte del MIUR con gli accessi ai corsi di laurea per cui ci mancano 10.000 lavoratori e poi andiamo in concorrenza con la maggiore appetibilità delle strutture ospedaliere per gli stipendi, anche se in una RSA il ruolo degli infermieri è determinante. Sulla vocazione va fatta una riflessione, a differenza di altri Paesi in Italia non ci sono scuole superiori che avvicinano a queste professioni, da noi manca la cultura del socio-sanitario».

«Nel mio libro dei sogni, c’è un’importante cambiamento organizzativo delle strutture – confessa Polesel – che però si sta concretizzando sempre più come necessità, ovvero passare da case di riposo chiuse ad aperte alla collettività. Attraendo il mondo del volontariato, formando le persone a diventare veri e propri caregiver, ma soprattutto cambiando la percezione dei luoghi e l’esperienza degli ospiti. Serve una differente cultura perché la società è cambiata e con lei le esigenze di una vita sempre più lunga, per questo faremo degli open day, tanto per attrarre ospiti e personale che cittadini volenterosi di donarsi agli altri. Questo però non significa trovare dei metodi sostitutivi del diritto alla salute, ma affiancarne di nuovi, per prepararsi a un cambiamento che è già dietro l’angolo».

Il welfare del futuro: la rivoluzione dovrà essere rapida per reggere

«La domanda poi resta sul personale, ovvero chi farà questo mestiere se mancheranno gli italiani in età da lavoro come da trend demografico? – si interroga Polesel – non c’è da stupirsi se fra 20 anni a Venezia avremmo un reparto dedicato alle persone di origine bengalese e anche dei sanitari di questa discendenza, affiancate a strutture intermedie come le case famiglie e nuove modalità di assistenza che rallentano l’ingresso in casa di riposo, saranno l’unica alternativa se si vuole tenere in piedi l’assistenza agli anziani, il rischio altrimenti è che diventi un diritto per pochi, ingestibile finanziariamente da parte di soggetti pubblici, finendo inevitabilmente sul mercato, adottando le sue regole».

«Come Rotary cerchiamo di stimolare questa riflessione sulla fragilità – racconta il Presidente Christiano Costantini – soprattutto dopo un’esperienza diretta che abbiamo fatto in visita come club a questi anziani, pensiamo che la comunità debba conoscere questa situazione per avvicinarsi a questo tema di poco appeal ma che ci tocca tutti». Come ha ricordato don Fausto Bonini, assistente spirituale della RSA di Santa Maria dei Battuti: «Anche se sono qui, gli individui cercano ancora i rapporti umani, l’esperienza del Covid ci ha allontanato un po’ tutti, mettendo in crisi il volontariato. Gli ospiti hanno bisogno della presenza delle persone, anche se spesso non riescono a esprimerlo lo si legge nei loro occhi». Come ha concluso Polesel: «Ci troviamo davanti a una sfida importante, tanto economica e organizzativa, che umana e culturale, saremo costretti ad affrontarla, ma dobbiamo farlo presto con progetti condivisi partendo da una pianificazione che sia nazionale e a cascata arrivi a noi».

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