Dalle così dette scienze “dure” possono nascere anche prodotti orientati alla delicatezza: è il caso del lavoro del team di ricerca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia coordinato dalla professoressa Michela Signoretto, ordinaria di chimica industriale. La docente ha fondato assieme ad altre quattro donne la startup “Ve-nice”, che ha brevettato una metodologia sul controllo del rilascio di principi attivi a partire da alcune biomasse, che ha poi portato a sperimentazioni sugli scarti di carciofo per ottenere prodotti per la cura dei capelli.
«L’azienda è nata nel 2018 – racconta l’accademica – tutto è partito dalla vittoria di un progetto della Regione Veneto che finanziava iniziative d’impresa. Con le mie colleghe, la professoressa Federica Menegazzo e la dottoressa Elena Ghedini, assieme a una ricercatrice e a un’altra giovane che lavorava in università che ci aveva affiancato per supportarci nella creazione del business plan, abbiamo dato vita a questa avventura per applicare nella pratica anni di ricerca nella formulazione chimica. E’ nato così un brevetto, che abbiamo ceduto a Ca’ Foscari e che ora è di proprietà di una multinazionale inglese».
«Grazie al brevetto abbiamo potuto aprire la nostra startup innovativa – prosegue la docente – con cui abbiamo vinto un bando di finanziamento per la ricerca sullo studio di prodotti per la cura dei capelli a partire da biomasse del progetto HAIR, finanziato dal Fondo sociale europeo. Per questo percorso abbiamo collaborato con un’azienda del settore per condividere la loro conoscenza e dopo uno studio preliminare abbiamo individuato nel carciofo la giusta materia prima. Innanzitutto perché il 70% si scarta nella preparazione ma soprattutto perché la parte che non si mangia è ricca di sostanze utili all’estrazione di principi attivi».
«Questi elementi – chiarisce la professoressa Signoretto – sono molto interessanti per l’applicazione della nostra metodologia, che permette di estrarre elementi con ultrasuoni e microonde, come polifenoli, molecole organiche con proprietà antiossidanti e l’inulina, uno zucchero solubile usato come districante e condizionante, alla base di diverse formulazioni di prodotti per il trattamento del capello come shampoo, gel e creme pre-lavaggio. Tutti i prodotti ricavati sono stati testati in laboratorio e sul campo, ma quello che ci premeva di più era la sostenibilità di un simile processo e visto che la logistica in Italia è in maggioranza su gomma, abbiamo optato per una materia prima come il carciofo non solo per le sue proprietà ma anche per la diffusione capillare. Infatti noi abbiamo usato gli scarti che di donavano i banchetti che vendono frutta e verdura a Rialto!».
«Oltre a questo lavoro di ricerca – aggiunge la professoressa – abbiamo vinto un progetto del programma LIFE finanziato con fondi europei per affrontare il problema dello smaltimento di una parte di prodotto dalla lavorazione della pelle nel distretto del vicentino. Infatti tra la prima concia e la riconcia, il materiale viene livellato e quello che viene rasato è uno scarto che diventa un costo ambientale oltre che economico. Per questo abbiamo messo a punto un metodo a partire dal collagene di questa pelle, formato da tanti atomi di carbonio, che attraverso processi di pirolisi, ovvero applicando calore in assenza di ossigeno, permetta di sciogliere i legami per ricavare materiale che può essere usato in alternativa alla grafite come anodo nelle batterie al litio».
«La stessa intuizione si può traslare agli scarti alimentari – continua – ad esempio sempre dal nostro carciofo, una volta estratti i principi attivi, lo scarto restante può essere bruciato per ottenere carbone, che può poi essere “attivato”. Quando infatti si riescono ad ottenere carboni attivi partendo da biomassa di scarto senza produrre CO2, il processo è completamente sostenibile e si autosostiene. In questo modo la sostanza ottenuta da pirolisi di biomassa, il così detto biochar, può essere re-immesso in un nuovo ciclo, ad esempio nelle creme o come materia prima per realizzare oggetti. I carboni attivi ottenuti inoltre hanno una proprietà di “spugne” visto che sono in grado di assorbire gli inquinanti, quindi oltre a prodotti per la cosmesi dei capelli, possono anche essere impiegati per la depurazione delle acque».
«I prodotti che sono stati realizzati dai carciofi hanno subito tutti i test che prevede la legge – spiega la docente – si tratta di verifiche mediche e biologiche prima di essere impiegati da esseri umani e il loro test sugli animali è assolutamente vietato infatti ci si affida a persone volontarie. In realtà noi abbiamo addirittura fatto test di tipo farmacologico in vitro e con la cella di Franz, per misurare il rilascio e la penetrazione dei principi attivi attraverso la pelle. Questi risultati, oltre alla misurazione della gradevolezza per i consumatori tester, hanno permesso di testare i benefici sul capello, che dimostrava una riduzione di sfibrature con la chiusura delle cuticole grazie ai nostri prodotti da carciofo».
«Come startup non ci metteremo però a produrre – conclude – puntiamo a continuare ad attrarre progetti di ricerca con Ca’ Foscari e offrire consulenza. L’idea su cui è nata l’azienda è sempre stata quella di mettere al servizio le nostre competenze di ricercatrici e non di fare business a scopo di lucro. Nonostante le collaborazioni con aziende e le consulenze, il nostro obiettivo è la studiare processi e prodotti sempre più sostenibili. Per questo siamo al lavoro su altre biomasse come le nocciole, di cui il nostro Paese è il secondo produttore al mondo, che con il loro guscio producono uno scarto importante. Da queste bucce stiamo stiamo lavorando per estrarre eccipienti e sostanze attive per la cosmesi e biochar da pirolisi, ma attraverso catalisi, anche applicazioni industriali come supporto per catalizzatori per purificare gli elementi per la produzione di alcuni polimeri. Insomma dopo il carciofo, troveremo altre biomasse su cui scoprire nuovi modi per smettere di definirle “solo” scarti».
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