È ormai assodato, quando una ragazza diventa mamma viene colpita da una verità incontrovertibile: fa freddo! Come chiosa: «…e comunque ghe xè aria». A questo punto le nonne, un tempo mamme, annuiscono vigorosamente. Ed è qui che il nostro eroe, o la nostra eroina, si trova coperto di una serie di strati che gli consentirebbero di partecipare senza nulla temere alla grande corsa al Polo Sud. In pratica il bambino o la bambina vengono lessati coscienziosamente dalla mamma freddolosa «perché ho paura che abbia freddo. Non si può muovere: è in carrozzina».
A questo punto che cominci la parte scientifica: a partire dai 3 chilogrammi – quando mi sono specializzato si diceva 2 chili e mezzo, ma poco importa – il bambino sa termoregolare. Ovvero: se ha freddo trema, se ha caldo suda. Se il bambino ha freddo, sta male e quindi piange ed ecco che la la mamma arriva. Se ha caldo, invece, spesso non se ne accorge.
Aggiungiamo un’osservazione che molti non fanno anche se ce l’hanno sotto gli occhi: il lattante non è fatto come un adulto. Intendiamoci: ha le stesse componenti, testa, braccia, gambe… Ma le proporzioni sono diverse. Potremmo dire – passatemi il paragone – che il lattante è fatto come un eschimese: busto grande e arti corti.
Questa conformazione serve a trattenere calore. Con la crescita, verso i 3-5 anni, assume le proporzioni dell’adulto, gli arti si allungano più di quanto si allunghi il busto. Questa conformazione consente di disperdere calore (pensate agli africani subsahariani). Quindi madre natura aveva già pensato ai timori materni.
Ma madre natura non aveva previsto il nylon e affini, il tessuto preferito dalla mamma freddolosa perché pesa poco e occupa poco spazio. E però, non fa traspirare: il bambino suda. E poi, eccolo lì che arriva: il colpo d’aria!
A questo punto Louis Pasteur sta facendo una capriola nella tomba. Tenetevi forte mamme: il colpo d’aria non è mai esistito. Qualsiasi forma infiammatoria delle vie respiratorie riconosce una causa infettiva. Al massimo, ma non sembra dimostrato, alcune condizioni climatiche possono favorire l’aggressione delle mucose da parte dei microrganismi.
Cosa fare dunque? Quello che si fa da sempre: vestire e spogliare, spogliare e vestire. I bambini corrono e saltano, dunque spogliateli, poi si fermano, dunque rivestiteli. E anche se perdete un passaggio, non succederà niente.
Alla fine questi bambini e queste bambine cresceranno, si renderanno autonomi, avranno caldo, si spoglieranno in autonomia. Andranno in giro in maglietta in mezzo alla neve o con la pancia fuori quando piove, fino a quando non diventeranno genitori a loro volta. E allora tornerà a risuonare il vecchio monito: «Coversite che fa fredo!».
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