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Restauro e sostenibilità per l’architettura di Venezia

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All’Ateneo Veneto dialogo sulle nuove sfide per una città più “green” e sostenibile

Come conciliare il patrimonio artistico e culturale di una città storica come Venezia, e con lei quello di tante altre città italiane, con le nuove esigenze di sostenibilità che questi ultimi anni hanno reso sempre più urgenti? È possibile intervenire su un palazzo storico, con un’opera di rinnovamento energetico, senza deturparne la sua bellezza originaria? E non dimentichiamoci del vincolo storico e di quello paesaggistico, che pesano e, allo stesso tempo, tutelano il capolavoro di cultura e bellezza che è il nostro paese. Proprio queste sono state le domande che gli esperti hanno affrontato nel convengo50 Anni del Premio Torta per il Restauro di Venezia”, tenutosi il 15 novembre all’Ateneo Veneto, Venezia.

«Non solo è possibile, ma in molti casi è già stato fatto. Si pensi ai nuovi dormitori dell’università a Santa Martaspiega Piercarlo Romagnoni, Professore di Fisica Tecnica Ambientale presso l’Università IUAV di Venezia, che ha curato l’intervento Ecologia e Benessere, Nuove Esigenze per il Patrimonio Costruito – bisogna però distinguere tra quello che è un intervento diretto su un edificio storico e quella che invece può essere una progettazione a servizio della città e che può quindi essere situata anche in zone limitrofe della città, riducendo al minimo l’impatto sul paesaggio».

Pietro Torta fra i canali di Venezia
L’intervento su un edifico storico: sì, ma solo se non è invasivo

«Intervenire sugli edifici storici di Venezia sarebbe fondamentale: parliamo di edifici con serramenti molto vecchi e conseguentemente con una grande dispersione termica. È possibile operare dei piccoli rinnovamenti, quelli energetici sono i primi che vengono in mente ma non dobbiamo dimenticare nemmeno il problema idrico, altro tema di grande attualità, ma si tratta di interventi assai modesti e che non devono modificare l’aspetto dell’edificio: si può lavorare sull’isolamento, sui serramenti, si può rifare il solaio per evitare la dispersione di energia e calore, ma non si possono applicare i pannelli solari sul tetto, per fare un esempio, perché l’immagine dell’edificio ne risentirebbe».

La soluzione migliore sarebbe quindi quella di creare un polo di produzione di energia rinnovabile che serva la città: «Ci sono diverse zone a Venezia, limitrofe alla città e tuttavia non coperte dal vincolo storico, come Santa Marta, la zona della stazione a Marghera, dove si potrebbero installare pannelli solari la cui energia sarebbe poi incanalata per coprire i fabbisogni energetici della città, senza deturparne l’aspetto storico e paesaggistico».

Fra transizione ecologica e conservazione di una città storica

«È chiaro che un altro problema da affrontare è quale fonte di energia rinnovabile impiegare: noi abbiamo fatto l’esempio dell’energia solare, che però ha dei limiti sia dal punto di vista geografico, perché banalmente al nord c’è meno sole, sia per quanto riguarda il rendimento energetico, perché di notte i pannelli non producono energia e, per quanto si possano stabilire delle fasce orarie o delle limitazioni al consumo di energia, che sarebbe un altro punto fondamentale su cui lavorare, ci sono certe strutture che non possono rimanere senza: si pensi agli ospedali e alla quantità di energia che serve per alimentarli».

E di edifici storici di grandi dimensioni, il cui consumo non può essere scaglionato, ce ne sono tanti a Venezia: «Si pensi a tutte le sedi universitarie della città, agli edifici pubblici. O alle chiese. Riscaldare una chiesa, con le dimensioni che ha e senza intaccarne la struttura storica, è pressoché impossibile. E la città di Venezia è cosparsa di chiese. E il tema energetico, ripeto, è solo uno degli aspetti in gioco: il sistema per il ricambio d’aria, per esempio, che è stato oggetto di tanta attenzione durante il Covid, è perfino più costoso, però è fondamentale per il benessere delle persone». Interessi diversi, ma il bilanciamento fra esigenze solo apparentemente in contrasto tra loro consente di pensare concretamente a una città più sostenibile, senza che questo comporti la rinuncia alla conservazione del patrimonio artistico e culturale.

La corsa alla sostenibilità: è cosa buona e giusta, ma per risultati concreti e duraturi è meglio essere realisti.

Le tempistiche imposte dall’UE prevedono il raggiungimento dei primi obiettivi già nel 2030: «Impensabile per un Paese come l’Italia, che è ancorato alle tradizionali fonti di energia, da cui dipende ancora una percentuale del suo fabbisogno energetico che, seppur non altissima, è sufficiente a impedire una completa autonomia energetica in tempi brevi: occorre essere realisti. Molte forme di energia sono ancora in fase di sperimentazione, come la fusione nucleare e anche se venissero autorizzate, non troverebbero un luogo adatto alla loro applicazione, perché nessun comune vuole prendersi questa responsabilità. E poi, parliamo di interventi assai costosi».

E questo sia che si tratti dell’intervento per un progetto pubblico energetico a larga scala, sia che si tratti del cambio di infissi nell’edificio storico per non disperdere il calore. «Quello che serve davvero, prima di tutto, che invece manca, è una politica nazionale comune: prima di ogni esigenza individuale, prima della necessità di conservare la singola città artistica o il singolo paesaggio, ci serve un progetto generale ma con obiettivi ben mirati; il resto verrà da sé, dopo valuteremo come agire secondo le singole necessità, lo facciamo già, ma ci serve un progetto concreto, che tenga conto delle reale situazione del nostro Paese».

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