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Ricomposto il soffitto Vasari: l’impresa delle Gallerie dell’Accademia

Dopo circa 40 anni di ricerche e studi, le Gallerie dell’Accademia a Venezia hanno finalmente ricomposto e restaurato il soffitto realizzato da Giorgio Vasari nel 1542 per Palazzo Corner Spinelli sul Canale Grande

Ci sono voluti circa quarant’anni di caccia ai frammenti, tra ricerche, studi, ostacoli e grandi sorprese per fare sì che il sogno di rimettere insieme i pezzi piano piano si avverasse. Il soffitto ligneo rinascimentale dipinto da Giorgio Vasari nel 1542 per Palazzo Corner Spinelli sul Canal Grande, dopo quasi cinque secoli dalla sua realizzazione, è ora stato ricomposto ed esposto alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, in un suggestivo allestimento restitutivo. La straordinaria operazione, fino a qualche anno fa impensabile, non poteva che avvenire nell’anno delle celebrazioni dei 450 anni dalla morte del pittore, scrittore e biografo aretino (Arezzo, 1511 – Firenze, 1574). L’impresa attuata dalle Gallerie dell’Accademia ha visto uno sforzo congiunto tra Ministero, diversi enti pubblici e fondazioni private che hanno attivato un’importante campagna di ricerca e di fundraising. Il soffitto costituisce un capolavoro assoluto e sottolinea l’influenza che l’arte manierista centroitaliana ha avuto a Venezia nel ‘500. L’opera, inedita per gli occhi contemporanei, riproposta nel suo insieme, è ora esposta a soffitto nella sala XIII al primo piano in un ambiente immersivo che ripropone la camera di Palazzo Corner a cui era destinata, riportando il visitatore indietro nel tempo.

Storia e dispersione del soffitto

Nel 1541 Vasari giunge a Venezia e ottiene l’incarico di dipingere il soffitto a cassettoni della così detta “camera nova” del palazzo che il nobile Giovanni Corner ha da poco acquistato. Vasari realizza una ricca composizione costituita da nove scomparti, corrispondenti alle cinque Virtù e a quattro Putti destinati agli angoli della sala, per un totale di 12 metri quadrati di tavole dipinte. Al centro, nel comparto rettangolare, si erge la Carità, a cui guardano, in un gioco di rimandi e sguardi, le altre allegorie delle virtù: la Speranza e la Fede sui lati più lunghi e la Pazienza e la Giustizia su quelli più corti. Come è emerso dagli studi sull’opera, Vasari introduce delle varianti rispetto al tema classico del Trionfo delle Virtù, accostando al soggetto centrale nelle cinque tavole un esempio positivo, che rafforza ed esprime il concetto della virtù in questione, e uno negativo, che contrasta e si oppone al soggetto stesso. Questo dialogo tra i comparti presto però si perde. Intorno alla metà del ‘700, infetti, le opere vengono smontate dal soffitto del palazzo e trasferite altrove. Sul finire del XVIII secolo comincia la vera e propria dispersione, che vede una lunga peregrinazione dei comparti divisi in collezioni private italiane ed estere. Le tavole di Fede e Speranza vengono ridotte di dimensione, e da quest’ultima viene addirittura creato un soggetto autonomo: il cosiddetto Suicidio di Giuda. Proprio questo fu il primo frammento riacquistato dallo Stato nel 1980 e destinato al Museo di Casa Vasari ad Arezzo, poiché non si riteneva all’epoca facesse parte del complesso di Casa Corner. Solo successivamente si comprese che il Giuda che si toglie la vita forniva la chiave interpretativa dell’iconologia dei singoli comparti del soffitto.

Una lenta ricostruzione

Nel 1987 comincia la lenta ma continuativa acquisizione dei comparti a partire dall’Allegoria della Giustizia, l’Allegoria della Pazienza e due Putti con Tabella, che vengono acquistati dallo Stato e destinati al patrimonio delle Gallerie dell’Accademia. Nel 2002 è la volta di un ulteriore Putto con Tabella e, il medesimo anno, le Gallerie ottengono il comparto con l’Allegoria della Carità, appartenente dall’Ottocento alla Pinacoteca di Brera, ma depositata dagli anni ’70 del Novecento nel Museo Civico della Società di Storia Patria di Gallarate. Nel 2013 viene acquistata a Londra anche l’Allegoria della Fede e nel 2017 si perfeziona l’acquisto dell’ultimo frammento, l’Allegoria della Speranza. Gli unici frammenti al momento ancora dispersi sono il quarto Putto con Tabella e due frammenti resecati dal comparto con l’Allegoria della Fede, che però non hanno ostacolato il ripristino della visione di insieme.

I lavori di restauro

In vista della presentazione unitaria dell’opera, i comparti dipinti sono stati restaurati da Rossella Cavigli, mentre Roberto Saccuman è intervenuto sui supporti lignei. «Al fine della corretta ricomposizione del soffitto bisognava giungere a un omogeneo livello di lettura dell’insieme, intervenendo sui restauri svolti in momenti e luoghi differenti. – spiega Cavigli – Tutti gli interventi precedenti erano stati guidati principalmente dal mutato punto di vista delle opere, che da quadri da soffitto erano state trasformate in autonomi dipinti da parete. Di fatto la rapida esecuzione pittorica, in alcune aree sommaria, assieme al punto di vista poi forzatamente ravvicinato e focalizzato non più sull’insieme, ma sulle parti, falsavano la lettura dell’originario progetto. – e continua Cavigli – Per nascondere le aree dove la pittura lasciava trasparire la calda preparazione sottostante, divenuta troppo percepibile alla visione ravvicinata, nel tempo sono state realizzate diverse ridipinture, in particolare su Fede, Giustizia, putti e balaustra, ed è stato quindi necessario rimuovere le integrazioni, insieme alle vernici ormai ingiallite e opacizzate». Dopo la pulitura delle superfici pittoriche, avvenuta con semplicità sui dipinti restaurati negli anni ‘80, data la presenza di vernici recenti, ma complicata dalle stratificazioni più antiche sulla Fede e sulla Speranza, è stato eseguito il ritocco pittorico. Sul retro delle tavole di Giuda e della Fede è stato inoltre necessario stuccare le profonde cavità provocate dall’attacco degli insetti xilofagi.

Manieri Elia: «Un lavoro che pochi musei al mondo possono vantare»

Molto soddisfatto del risultato il direttore delle Gallerie, Giulio Manieri Elia: «Il difficile non era collocare le opere ma riuscire ad illuminarle bene lasciando la travatura del soffitto reinventata totalmente in ombra» ha detto il direttore, che durante la sua carriera ha seguito personalmente la vicenda e che a GV Ve-nice ha rilasciato un’intervista sul percorso che lo ha portato a dirigere le Gallerie, facendo anche un bilancio di quanto realizzato in Museo (leggi qui). «L’esposizione al pubblico della ricomposizione del celebre soffitto cassettonato arricchisce in maniera significativa il patrimonio artistico nazionale e segna il punto di arrivo di un lungo e complesso percorso di indagini e acquisizioni durato oltre quarant’anni, esempio virtuoso della continuità di azione dello Stato per riunire, come un puzzle, le tavole disperse di questa opera fondamentale per la storia dell’arte. Un lungo lavoro di acquisizione, restauro, studio preliminare e progettazione del riassemblaggio dei comparti che pochi musei al mondo possono vantare» ha detto infine Manieri Elia, sottolineando quando le Gallerie siano attente al tema della restituzione e del restauro, come avvenuto recentemente anche per il polittico di Santa Chiara di Paolo Veneziano (leggi qui).

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