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Rifugi climatici: il CSV Venezia apre alle associazioni

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Aperta la serie di appuntamenti di incontro e formazione con il mondo del volontariato

«Dopo millenni di storia dell’uomo focalizzati sul resistere al freddo – spiega il professor Luca Velo dell’Università Iuav di Venezia – il tema di come affrontare il caldo paradossalmente diventerà una delle priorità principali, inizia già a esserlo nelle linee di azione dell’Unione Europea, per questo è necessario dare una risposta anche in termini sociali». Il docente ha esordito così alla presentazione del progetto di creazione di “Rifugi climatici” ospitata il 24 luglio nella sede del CAVV-CSV Venezia di Via Ancona a Mestre, aperta alle associazioni della Città Metropolitana di Venezia.

L’incontro è stata l’occasione per presentare il progetto di sperimentazione, proposto dal Csv con il professor Velo del Dipartimento di Culture del Progetto dell’Università Iuav di Venezia, che prevede la realizzazione di spazi aperti ai cittadini per offrire comfort termico in occasione di fenomeni climatici estremi, comprendendo anche attività di socialità per chi trova riparo nelle strutture. «Mettendo in collaborazione comuni e associazioni per individuare gli spazi – spiega Ketty Poles, Direttore Generale dell’ente veneziano – verrà lanciata una “Call for Ideasrivolta a tutti gli Enti del Terzo Settore del territorio, per far partire le iniziative entro il 2024 per un periodo di 12 mesi di test».

Foto da Wikimedia
Un progetto nato dall’esigenza di prepararsi al cambiamento climatico

«I fenomeni estremi a cui stiamo assistendo – ha spiegato Velo – rischiano di avere un impatto profondo non solo a livello economico ma anche sociale: creando nuove disparità, vere e proprie situazioni di “povertà energetica estiva” dove, con costi alle stelle, affrontare il caldo rischia di diventare un lusso per una grossa fetta della popolazione. Documenti e dati dell’Unione Europea stanno mettendo in luce questi scenari da anni e dal punto di vista tecnologico e infrastrutturale il sistema energico attuale sta dimostrando i suoi limiti, con cui fra poco dovremmo fare i conti. Tutto questo in un contesto urbano è ancora più evidente, soprattutto per chi si trova ad affrontare le temperature elevate a piedi e non è pratico di percorsi in ombra, come conoscono bene i veneziani quando scelgono le calli in base all’orario».

«Le “isole di calore” in città infatti – aggiunge – dimostrano che più un luogo è cementificato e più trattiene temperature elevate. Il termine stesso di “rifugio climatico” porta un ideale di emergenza ed eccezionalità, come progettisti dovremo ripensare gli spazi urbani in ottica di benessere e comfort, anche in chiave di inclusione sociale. Un po’ come se gli spazi fruiti collettivamente debbano diventare un diritto. La sfida in questo senso è trovare oltre ai locali, fonti energetiche più sostenibili e renderle efficienti, ma c’è anche un tema di razionalizzazione ripensando a una visione di ridistribuzione sociale dell’energia, con impatto anche sulle fisionomia degli spazi urbani. Quello che manca soprattutto in questa fase è un’educazione e consapevolezza al cambiamento climatico, il ruolo di tutti è fondamentale. Con la scienza possiamo attuare grandi progetti che possono però annullarsi se manca un patto sociale collettivo. E’ qui, il Terzo Settore, può produrre un’azione concreta, sommando tanti interventi singoli, ma coordinati fra loro».

Ma in cosa consiste un rifugio climatico?

«Un rifugio climatico è per sua natura uno spazio di protezione da condizioni sfavorevoli – precisa il docente – non solo dal caldo pensando solamente a un luogo fresco, ma anche da fenomeni come manifestazioni meteorologiche avverse, dalle bombe d’acqua alle grandinate fino all’esondazione dei corsi d’acqua. E’ un po’ come se si tornasse ai bunker del periodo bellico, perché anche se pensiamo di controllare tutto, rischiamo di tornare a dover proteggerci, perché i cambiamenti climatici hanno dimostrato di essere molto difficili da prevedere in termini di effetti e conseguenze. Insieme ai partner saranno quindi sviluppati progetti per contrastare, sia all’interno che all’esterno, le minacce alla salute ma anche per offrire delle opportunità, culturali o di coinvolgimento, soprattutto per chi è più fragile».

«L’Europa in questo è più avanti di noi – racconta Velo – in Spagna a Barcellona stanno già realizzando rifugi climatici con l’idea che debbano essere inclusi all’interno di una pianificazione urbana per cambiare l’organizzazione e la fruizione della città. Ma come si affronta questo tema complesso? Attraverso un approccio multi-disciplinare con una prospettiva nuova che vada oltre all’emergenza stagionale, ottimizzando le capacità di spazi esistenti che possono ospitare più persone e per più tempo di quello che fanno abitualmente con continuità, coinvolgendo le comunità locali». Come aggiunge Ketty Poles: «Creare questi spazi e offrire un programma di attività, oltre che di rifugio vero e proprio, consentiranno di trasformare questi luoghi in ambienti di rigenerazione sociale, in cui migliorare le relazioni e contrastare la solitudine». Come ricorda il Presidente del CSV Mario Morandi: «Fino adesso si è pensato più alle cubature che al valore degli edifici per le persone, c’è parecchio da lavorare ma credo che le associazioni ce la metteranno tutta, dobbiamo però lavorare tutti insieme».

A che associazioni del Terzo Settore si rivolge questa proposta?

«L’esempio di Barcellona è particolarmente interessante – spiega Poles – perché si tratta di una città metropolitana, proprio come Venezia, questa applicazione ci permette di poter proporre la creazione di reti sovracomunali che possano collaborare fra loro. In questo senso questo il progetto è aperto a tutte le Associazioni iscritte al CAVV-CSV, a cui verrà inviato a breve una manifestazione di interesse per aderire entro il 22 settembre con una proposta. Noi affiancheremo i partecipanti con formazione e supporto per arrivare preparati alla scadenza perché l’obiettivo è attivare vere e proprie collaborazioni che durino nel tempo oltre al nostro supporto, anche economico, iniziale. A ottobre le idee verranno valutate per poter poi partire con le attività entro la fine del 2024».

«Anche i comuni possono fare la loro parte sostenendo queste reti associative – conclude – attivandosi per dare la disponibilità di luoghi e spazi utilizzabili. Il finanziamento è per le attività e per sistemare i luoghi, ma non per ristrutturazioni strutturali, l’obiettivo è il riuso e il potenziamento di edifici e spazi già esistenti. I rifugi per come li intendiamo sono soprattutto luoghi di persone, come requisito fondamentale, oltre a garantire benessere e sicurezza, devono permettere accessibilità a tutti e visibilità. In questo senso più si riducono gli sprechi e si massimizzano le potenzialità degli spazi, meglio è, riempiendo i momenti di vuoto o non utilizzo». Come conclude il prof. Velo: «Può essere un’occasione per riempire ambienti che soffrono di sottoutilizzo trasformandoli in punti di incontro e di integrazione. Dalle biblioteche del centro storico di Torino ai corridoi stradali di Vienna, è possibile definire nuovi standard per uno spazio urbano di supporto». «In questo, è necessaria la fiducia e la partecipazione che le associazioni riescono a sviluppare sul territorio», aggiunge Alice del CSV Venezia.

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