Una delle più grandi apparecchiature dell’area radiologica è la Risonanza Magnetica (RM), una potente calamita. La sua diffusione è sempre più estesa nelle strutture pubbliche e private. Motivi di questo successo? Qualità e varietà delle immagini, possibilità di ottenere informazioni di tipo funzionale – per esempio: quali aree del cervello si attivano quando facciamo o pensiamo qualcosa – e l’assenza di radiazioni ionizzanti.
Un insieme così ghiotto di possibilità ha come prezzo il sottoporsi a un esame costoso, sia a pagamento che come contribuente, lungo, rumoroso, potenzialmente pericoloso in un luogo stretto e chiuso con la necessità dell’immobilità assoluta.
L’apparecchiatura utilizza energie come il magnetismo e la radiofrequenza e può ospitare gas criogeni, cioè fluidi che permettono di arrivare a refrigerare l’interno della macchina con temperature bassissime. Sono tre le fonti di pericolo, vediamo perché.
Campo magnetico: varia in base al modello di RM, la sua misura si esprime in Tesla (T). La sua potenza? Decine di migliaia di volte maggiore rispetto al campo magnetico terrestre. La RM, come tutte le calamite, attrae il ferro (non oro, alluminio o titanio) e la forza con cui gli oggetti sono attratti dipende sia dal campo magnetico sia dalla loro massa: oggetto piccolo = forza piccola, oggetto grande = forza grande. L’oggetto viene attratto dal magnete con “l’effetto missile” e nell’impatto finale aumenta di molto il suo peso equivalente. Un estintore ferromagnetico di 5 chili quando impatta sul magnete è come se ne pesasse 125. Dunque, introdurre oggetti metallici, sia presenti nel nostro corpo che trasportati da noi, può essere estremamente pericoloso e fonte di incidenti anche mortali.
Il gas criogeno utilizzato in RM è l’elio liquido, porta la temperatura interna dell’apparecchiatura a meno 273 gradi Celsius, vicino allo zero assoluto. Se l’elio viene a contatto con l’atmosfera si trasforma in gas aumentando il suo volume di 750 volte con evidente pericolo. Nelle RM esistono sistemi di sicurezza che permettono all’elio in forma gassosa di uscire al di fuori della sala magnete senza danni (Quench). Questa procedura è pilotata dal personale della Radiologia e avviene solo in caso di estrema emergenza, ma, se una grossa massa metallica colpisce il magnete, l’elio può fuoriuscire.
Le radiofrequenze (RF) utilizzate in RM, infine, non sono udibili, ma sono influenzate da quelle esterne. Per questo motivo la risonanza magnetica è in una gabbia di Faraday: così le radiofrequenze esterne non possono influenzare l’esame diagnostico. Le RF possono incrementare di un grado Celsius la temperatura corporea del paziente e concatenarsi con oggetti metallici come piercing, tatuaggi, pacemaker non compatibili con la RM, e provocare delle bruciature.
I pericoli, insomma, ci sono: per questo è necessario leggere bene l’informativa e compilare con cura con il medico prescrivente e il medico radiologo il consenso informato. Ma cosa significa in questo ambito?
Le cure devono essere sicure: il paziente deve essere informato sulle procedure mediche e deve esprimere liberamente e in modo esplicito il proprio consenso. Questo è un diritto ed è sancito dalla legge 219/17 che si ispira alla Costituzione Italiana e alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Esistono delle eccezioni: come quando un trattamento è previsto per legge o quando i medici devono agire tempestivamente per salvare una vita che altrimenti andrebbe perduta.
Le cose, però, non sono semplici: la medicina è una materia complessa e talora l’agire è ostacolato da barriere, come quelle culturali e linguistiche. Ma, visti i rischi potenziali presenti nel sito della risonanza magnetica, una persona per sottoporsi all’esame deve conoscere a cosa va incontro e firmare il consenso. L’informativa consegnata ai pazienti prima dell’esame è solo un riassunto, ma qualsiasi domanda può essere rivolta al medico prescrivente e, successivamente, anche al medico radiologo, responsabile dell’esame, fisicamente presente nella struttura che ospita la RM.
Il consenso per la risonanza magnetica prevede una lunga serie di domande, la cui formulazione deriva dall’esperienza maturata negli anni e dai dati della letteratura scientifica internazionale. Incidenti, anche mortali, hanno insegnato a sbagliare sempre meno e a non ricadere in errori già commessi in passato da altri. In ogni caso la prudenza domina la scena e dove queste regole non sono seguite il dubbio non è se l’incidente capiterà ma quando capiterà.
Le domande possono essere fatte anche dal personale sanitario non medico, ma il consenso deve essere necessariamente firmato dal medico dell’area radiologica che autorizza l’esame. Anche il medico prescrivente, prima di mandare il paziente a sottoporsi all’esame, deve assicurarsi che non esistano delle controindicazioni. Se non lo facesse sarebbe un rischio e si potrebbero perdere tempo prezioso e denaro.
Inoltre, il medico prescrivente annota sul modulo il motivo per cui la persona fa l’esame e le notizie cliniche più importanti: la RM, infatti, non è un esame standard, varia nei modi e nei tempi in base alla patologia che si deve cercare e mettere in evidenza. Se questo non avviene, si corre il rischio di dover completare l’esame con ulteriori sequenze di immagini o addirittura di ripeterlo.
Il consenso all’esame, infine, può essere revocato dal paziente in qualsiasi momento: è un suo diritto. Se, però, il personale insiste perché ci ripensi, in modo da arrivare alla fine delle sequenze di immagini, lo fa per cercare di aiutare una persona in difficoltà in un momento problematico della sua esistenza. Dagli esami RM, infatti, spesso si ottengono informazioni vitali.
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