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Ritrovare il silenzio, oltre il ronzio del nostro tempo

Invitato dalla Procuratoria di San Marco, il cardinale Gianfranco Ravasi ha proposto una riflessione sul valore del silenzio: «È lì che si trova Dio, lo scrisse anche Umberto Eco».

Esiste un silenzio nero, doloroso, e un silenzio bianco, che è quello della contemplazione di Dio. Proprio sul tema del silenzio è intervenuto mercoledì 14 nella Sala convegni di Sant’Apollonia a Venezia il cardinale Gianfranco Ravasi, invitato dalla Procuratoria di San Marco. «Chi entra in Basilica a San Marco passa in un attimo dal rumore della piazza al silenzio. – ha detto il Primo Procuratore di San Marco Bruno Barel introducendo l’evento – Riflettendo su questo aspetto abbiamo chiesto al cardinal Ravasi di intervenire su questo tema, per contrapporre al rumore dei tempi lo spazio della riflessione profonda spirituale. Soprattutto i giovani oggi non sono più abituati al silenzio, anche perché fanno di tutto per riempirlo, li vediamo sempre con le cuffiette con la musica nelle orecchie». Un tema pressoché inedito che il cardiale Ravasi, nelle tante conferenze tenute negli anni, ha trattato solo un’altra volta per l’Unione Buddista Italiana. «Oggi il silenzio è difficile da trovare pure negli ambienti sacri» ha detto Ravasi, ricordando passi biblici e la voce provocatoria del regista Woody Allen: “Dio tace. Ah, se si riuscisse a far chiudere il becco all’uomo” una considerazione non marginale che si riferisce alla degenerazione delle chiacchiere. Per parlare del silenzio non si può però non parlare della parola: «All’inizio della Genesi infatti è scritto: Dio disse sia la luce, e la luce fu”. Ecca la parola che è potenza creatrice. Anche nel Vangelo di Giovanni si dice appunto che “in principio c’era il logos”. La parola, nella nostra tradizione biblica, non è antitetica ma in contrappunto armonioso con il silenzio. Per la parola è sempre necessario che ci sia il silenzio» dice, sottolineando l’esercizio difficile dell’ascolto. «Il silenzio è importante perché cesella le parole». E, parlando di pause, fa un riferimento con la musica: «Brahms diceva che comporre non è difficile, ma estremamente difficile è eliminare le note superflue. – e continua – Pensiamo alla pausa che si esegue in musica, è una componente».

Il dramma del silenzio nero

Poi spiega la differenza tra il silenzio nero e il silenzio bianco. «Il silenzio nero è quel silenzio drammatico, profondamente negativo» dice, distinguendo tra tre tipi di silenzio nero: «Esiste il silenzio tragico del vuoto, quello di cui i giovani hanno paura e che cercano sempre di riempire con la musica nelle orecchie. I ragazzi dentro hanno dei valori, bisogna quindi abituarli a strapparli dal chiasso dal rumore dal branco. – e afferma –  Compito della Chiesa è cercare di creare all’interno delle comunità ecclesiali e della cultura degli spazi dove possano ascoltare e interrogarsi». Cita anche Giobbe che urlava tutto il tempo contro Dio, ma quando Dio gli parlò si mise la mano sulla bocca, un’immagine forte per indicare la negazione della parola. Parla poi dell’isolamento che coinvolge anziani, malati e persone ai margini e cita una frase significativa letta su un muro in una strada di Roma, scritta probabilmente da un senzatetto: “In questa città nessuno mi conosce. Tranne Dio”, una frase potentissima che squarcia il silenzio. Infine parla del silenzio della morte, in cui tutto tace.

Il silenzio bianco della contemplazione

Totalmente diverso è invece il silenzio bianco, che racchiude l’aspetto più significativo: «È il silenzio della solitudine, che non è negativa ma di grande valore e dieta per l’anima. Pascal diceva, esagerando, che le disgrazie arrivano perché non si è capaci di stare da soli un’ora al giorno. Noi ora non siamo più capaci di stare soli nemmeno cinque minuti. Nella nostra cultura ormai c’è un rumore di fondo ininterrotto. In molte case c’è sempre la tv accesa, anche mentre si cena». La solitudine vera invece è un momento necessario per la riflessione: «Anche noi preti non abbiamo più l’esame di coscienza che serviva a guardare all’interno della propria anima per trovarne i grovigli. – e continua – Dal punto di vista filologico, infatti, il silenzio della meditazione è terapia che permette di dare senso alle azioni, dando loro una grammatica e una sintassi. La parola meditazione infatti deriva dal verbo latino “medeor”, che significa medicare e che a sua volta viene dal verbo greco “myein” che vuol dire chiudere le labbra. La disciplina del silenzio all’interno della tradizione mistica è quindi una terapia. Un atteggiamento, questo, che bisognerebbe ritrovare» dice Ravasi, sottolineando come ad esempio la liturgia ortodossa con un approccio verticale sia più silenziosa, cogliendo il divino nel mistero, mentre quella latina coinvolge di più l’assemblea: «Il nome di Dio – evidenzia – non si pronuncia proprio perché è mistero».

Dio si scopre nel silenzio. Lo scrisse anche Umberto Eco

E sottolinea come il silenzio sia epifanico: «È nel silenzio contemplativo che si trova Dio. Nella fede e nell’amore i silenzi sono più eloquenti. Sono i momenti più alti della comunione e della comunicazione. – e continua – Ognuno deve costruirsi il suo orizzonte di silenzio, combattendo il rumore di fondo, travolto da questa onda silenziosa che però è urlata» dice, ricordando l’esperienza profeta Elia che, rimasto solo ad opporsi al potere arrogante di re Achab, fugge nel deserto e sul monte Oreb cerca Dio: «Convinto che fosse nella parola, nel frastuono dei fulmini, dei tuoni e dei terremoti, invece lo trova in una voce di silenzio sottile come il vento». Infine parla dell’amico Umberto Eco che, nato da un famiglia cattolica, ha poi cercato una via alternativa: «Siamo sempre rimasti amici – spiega Ravasi, che ha fondato il Cortile dei Gentili, incentrato sul dialogo tra credenti e non credenti – Ci incontravamo spesso alla Biblioteca Ambrosiana a Milano. Non tanto tempo prima che morisse mi mandò un suo testo in cui parlava di Dio: “Dio non è mai a Broadway ma lo si può trovare solo nel silenzio”. Anche lui aveva colto il senso profondo della contemplazione».

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