Lo scompenso cardiaco (o insufficienza cardiaca) rappresenta la prima causa di ospedalizzazione nelle persone sopra i 65 anni di età. Si tratta di un deterioramento del cuore, che gli impedisce di assolvere alla propria funzione di pompa: ne conseguono un insufficiente apporto di sangue al resto dell’organismo e il ristagno di sangue in alcuni organi, come i polmoni e il fegato ad esempio, che ne rimangono congestionati.
Si tratta di una condizione che, purtroppo, tende a diventare cronica: dopo il primo episodio, recidiva frequentemente e interessa circa il 2% della popolazione generale, ma diventa via via più frequente con l’età e nel genere femminile, fino ad arrivare al 15% degli individui over 85 anni di entrambi i sessi.
Alla base di uno scompenso vi è generalmente un danno del miocardio, che può dipendere da una malattia ischemica (un pregresso infarto), da una disfunzione valvolare, dalle eccessive sollecitazioni causate da una ipertensione non trattata o mal controllata dalla terapia oppure da una aritmia particolarmente impegnativa.
I principali fattori di rischio per lo scompenso, quindi, sono tutte quelle condizioni che sottopongono il cuore a un lavoro eccessivo o ne distruggono una parte. In realtà, però, varie condizioni aumentano di per sé la possibilità di avere una disfunzione cardiaca, come la presenza di diabete, la sindrome metabolica (coesistenza di diabete, dislipidemia, obesità e ipertensione arteriosa), l’obesità, la fibrillazione atriale (aritmia piuttosto frequente nei soggetti over 65 anni), il fumo e il genere femminile.
Inizialmente i sintomi, rappresentati soprattutto da tachicardia, dispnea (mancanza di fiato) ed edemi declivi (agli arti inferiori), possono essere lievi, sporadici e presentarsi solo per sforzi intensi. Tuttavia, se non si attuano misure terapeutiche per ridurre o eliminare le cause, questi sintomi si faranno sempre più evidenti e possono portare al ricovero ospedaliero.
La dispnea è causata dall’accumulo di sangue nei polmoni, perché il cuore non è più in grado di “smaltire” la circolazione ematica proveniente da questi organi, e ovviamente si accentua con lo sforzo e in posizione supina: abitualmente migliora da seduti e col riposo. Gli edemi declivi, cioè il gonfiore negli arti inferiori, sono legati anch’essi all’accumulo di liquidi nei distretti periferici e possono risalire fino all’addome, per la congestione del fegato. Si associano spossatezza (per il poco sangue che arriva ai muscoli), tosse secca, perdita di appetito e talvolta, nei casi più gravi, anche confusione mentale, per lo scarso apporto di sangue al cervello.
A seconda dei vari gradi di severità del quadro clinico, la terapia si basa innanzitutto sul controllo della causa che ha scatenato lo scompenso – ipertensione, diabete, obesità, ecc. – sul riposo e naturalmente sulla terapia farmacologica, che deve all’inizio sempre comprendere i medicinali diuretici, per eliminare i liquidi in eccesso che sovraccaricano la funzione cardiaca, e i beta-bloccanti, per controllare la tachicardia con cui il cuore stesso cerca di sopperire alla debolezza del circolo, ma che diventa essa stessa una causa di sofferenza per il muscolo cardiaco.
Per fortuna negli ultimi anni si sono aggiunte nuove efficaci molecole, chiamate glifozine (inizialmente studiate come antidiabetici) e ARNI (sacubitril-valsartan) che permettono di controllare i sintomi dello scompenso e ridurre le probabilità di recidive, re-ospedalizzazione e anche la mortalità legate a questa condizione.
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