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Scoperta in Croazia un’opera attribuita a Bellini

Il dipinto era già noto agli storici dell’arte ma la mano di Bellini è stata riconosciuta solo recentemente dalla studiosa cafoscarina Beatrice Tanzi

Nell’isola di Pago una tavola con una “Madonna con Bambino” è stata recentemente ricondotta a Giovanni Bellini da parte di Beatrice Tanzi, dottoranda in Storia delle Arti all’Università di Ca’ Foscari. Il dipinto, la cui datazione si ipotizza risalga al 1460, di cui l’esistenza era nota agli storici dell’arte, è stato ritrovato in un monastero di monache benedettine della città croata.  Si tratta di un’acquisizione di particolare rilievo, in quanto, in primis, rappresenta la prima opera del pittore per i territori orientali della Serenissima. Era, inoltre, da oltre un secolo che non si ritrovava un’opera di questo genio del Rinascimento nel luogo per il quale, verosimilmente, era stata eseguita: il monastero delle benedettine di Santa Margherita a Pag. La suggestiva ipotesi di ricerca di Beatrice Tanzi è stata pubblicata in un articolo dal titolo “A new attribution to Giovanni Bellini: the ‘Virgin and Child’ in Pag” sulla rivista inglese The Burlington Magazine, una delle testate internazionali di Storia dell’Arte più prestigiose e note al mondo.

Ricostruzione della storia

Nel piccolo museo allestito di recente nel monastero delle benedettine sull’isola di Pago (Pag), in Croazia, si conserva un dipinto della metà del Quattrocento raffigurante una “Madonna con Bambino” che tiene nelle mani un frutto, all’apparenza un melograno. L’opera è dipinta su tavola, misura 54,5 x 44,5 cm, e mostra ingenti problemi di conservazione, ma allo sguardo attento di Beatrice Tanzi non è sfuggita la straordinaria qualità del dipinto. Per la dottoranda, che si trovava lì nell’estate 2021 per un viaggio di studio in Dalmazia nell’ambito del progetto ERC AdriArchCult, sotto la direzione della prof. Jasenka Gudelj, la tavola è infatti da riferirsi al giovane Giovanni Bellini tra la metà degli anni cinquanta e quella dei sessanta del Quattrocento, nello stesso periodo in cui realizzò i Trittici della Carità delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. In mancanza di fonti documentarie garantite, la studiosa ha ipotizzato un legame con la famiglia Mišolić (latinizzato in De Missolis), fra le più in vista dell’isola tra Quattrocento e Cinquecento. In particolare, per Giorgio Mišolić, nobile e membro del Gran Consiglio della città, conte palatino, capitano di galea e, nel 1477, incaricato di dirimere le questioni legate alla vendita del sale a Venezia, sono documentati stretti e costanti legami con la Serenissima. Mišolić aveva inoltre avuto un ruolo di rilievo nella costruzione della nuova chiesa delle benedettine, commissionando a Giorgio Dalmata, il più grande architetto e scultore della Dalmazia, una cappella al suo interno. È quindi ragionevole ritenere che un personaggio della sua statura, sia economica che intellettuale, potesse avere dimestichezza con i circoli più aggiornati della cultura figurativa della città di San Marco, dalla quale proviene il dipinto.

Lo stato dell’opera

Il dipinto mostra estese cadute di colore, ma le parti rimaste integre rivelano una qualità raffinatissima, inoltre il quadro non ha subito importanti ridipinture. La tavola era nota da circa un quarantennio sotto erronee attribuzioni– tra la bottega di Francesco Squarcione, l’ambito di Andrea Mantegna e Bartolomeo Vivarini – ma solamente nella storiografia croata, rimanendo esclusa dal dibattito internazionale. L’attribuzione a Bellini è quindi una novità vera e propria, tanto che il nome del pittore non era mai entrato nella discussione. «L’attribuzione a Giovanni Bellini da un punto di vista stilistico è rafforzata da un’ampia serie di confronti con le opere giovanili del pittore in un momento in cui si colgono gli intrecci formali con le opere del cognato Andrea Mantegna. – spiega Beatrice Tanzi – Siamo dunque in una congiuntura artistica di elevatissimo significato, quella che produce le strepitose miniature della Geographia di Strabone ad Albi, la malandata Madonna Fodor in collezione privata, la Madonna Davis del Metropolitan o gli esemplari della Gemäldegalerie di Berlino e della Pinacoteca Malaspina di Pavia».

Tratti distintivi

La mano dell’artista veneziano secondo la ricercatrice è chiaramente riconoscibile per una serie di caratteristiche: il paesaggio che sta alle spalle della Vergine, con aspetti più collinari che montani, molto verde e con corsi d’acqua, reso a tocchi brevi e quasi miniaturistici, si ritrova nella “Crocifissione” del Museo Correr o nell’”Uomo dei dolori” del Museo Poldi Pezzoli di Milano. Il volto del Bambino imbronciato invece è assai vicino, in una tipologia che si incontra di continuo, all’angioletto che sorregge il Cristo sulla sinistra nella “Pietà” del Museo Correr, ma anche al Bambino della cosiddetta “Madonna Davis” del Metropolitan, o in quello del Rijksmuseum di Amsterdam. Il volto della Vergine poi, per quanto più compromesso, soprattutto nella parte destra, ha i tratti resi con le semplificazioni tipiche del momento, a partire dalle figure femminili nella precoce “Natività della Vergine” della Galleria Sabauda a Torino o in quelli della controversa “Sant’Orsola con le compagne e la donatrice” delle Gallerie dell’Accademia e della “Madonna Johnson” del Philadelphia Museum of Art, solo per fare degli esempi. Tutte opere nelle quali si può cogliere ancora l’intreccio con le realizzazioni mature del padre Jacopo, come la “Madonna dei cherubini”, sempre all’Accademia.

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