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Stefano: «Il Centro don Milani mi ha ridato la dignità»

Stefano: «Il Centro don Milani mi ha ridato la dignità»
Storia di un ospite nella sua battaglia contro le dipendenze presso il Centro Soranzo

«Nella comunità sono riuscito a capire che l’importante è farsi vedere per quello che sei», racconta Stefano (nome di fantasia), ospite del centro Soranzo, una delle tre comunità del Coges don Milani presenti a Tessera. 

La struttura è una comunità mista, formata circa per 80% da uomini e il 20% da donne. Nel centro vengono trattate diverse dipendenze, dalla droga al gioco d’azzardo. Gli ospiti, attualmente 45 persone, possono trattenersi per un periodo di massimo 6 mesi. 

«Io faccio uso da ormai 14 anni di eroina», continua il 30enne ospite della comunità. «In questo periodo ho sempre cercato di uscirne, anche perché all’inizio non sapevo che fosse una malattia così seria, quindi con tentativi un po’ “casalinghi” riuscivo a stare pulito per un po’. Però non riuscivo mai ad uscirne».

«Prima di venire al centro Soranzo pensavo che il problema fosse la sostanza, non mi aspettavo che venissero fuori tanti problemi irrisolti del mio passato».

Oltre la dipendenza: i problemi legati al passato

«Grazie al lavoro che ho fatto qui – spiega Stefano – ho capito che la scelta di iniziare ad assumere sostanze stupefacenti l’ho fatta per un malessere personale dovuto all’ambito familiare, soprattutto a causa di certe dinamiche che si sono sviluppate tra i miei genitori».

Il giovane riconosce di essere sempre stato un bambino sensibile, un po’ taciturno ed introverso. In famiglia osservava una cosa: «I miei genitori erano completamente diversi l’uno dall’altro. Così inconsciamente ho cercato i miei punti di riferimento fuori dalla famiglia dove, secondo me, c’erano quelli da prendere come esempio, come il bullo perché è forte o il bel ragazzo perché ha rispetto e donne. Dentro di me sapevo che non ero quel tipo di ragazzo ma ho dovuto costruire quest’armatura per sopravvivere fuori. Odiavo tutte le ingiustizie come essere bullizzato; così per non riceverle sono passato io dall’altra parte», aggiunge Stefano. «Quando succedeva qualcosa poi però avevo i sensi di colpa. Quella vita mi affascinava perché mi dava un tono, ma non era quello che volevo».

Con la droga “leggera” Stefano inizia verso i 15 anni: «Poi con gli amici abbiamo provato cose più pesanti, come la cocaina ed io usavo l’eroina per calmarmi dall’effetto che mi faceva. Ho conosciuto persone nel mondo “criminale” e là è iniziato un momento della mia vita in cui ho fatto cose contro la legge, come rapine, per prendermi la sostanza».

Mensa del centro Soranzo
Tra astinenza e ricadute: la scoperta della Comunità

Non tutta la sua esperienza è un continuum: «Ho avuto periodi medio-lunghi – riprende Stefano – a volte anche di 2-3 anni, in cui sono rimasto astinente dalla droga. In questi periodi ho anche ricominciato a studiare, ho preso il diploma e sono andato all’università però bastava veramente poco per farmi ricadere. Così mi sono avvicinato ai gruppi di auto aiuto e ho iniziato a sperimentare la condivisione».

«Durante la quarantena facevamo dei gruppi online. Per me era un periodo davvero pesante, in cui non ce la facevo più. Mi era nato da poco un figlio, mi ero separato dalla mia compagna e vivevo una situazione difficile che non volevo far ricadere su mio figlio. Sentivo proprio il desiderio di curarmi e lo confessai ad un ragazzo del gruppo spiegandogli che continuavo a ricaderci e non riuscivo a rimanere pulito. Lui mi ha suggerito di andare in comunità». 

Che poi Stefano non avesse mai preso in considerazione l’idea di entrare in comunità è vero: «Ma vedendo alcuni conoscenti che avevano intrapreso un percorso simile e stavano bene ho deciso di provarci. Mi sono informato tramite il Sert e nel frattempo l’amico con il quale mi ero confidato mi ha dato il contatto di Angelo Benvegnù, presidente del Coges don Lorenzo Milani. Successivamente, dopo un colloquio con Angelo sono entrato nel centro Soranzo. Prima di entrare nella struttura ho trascorso un mese nel centro Coges di prima accoglienza», la struttura di fianco al “Soranzo” che accoglie ragazzi al massimo per 3 mesi.

«Quel mese è stato necessario per ristabilirmi», riconosce Stefano. «Quando sono arrivato pesavo 62 kg e la dipendenza mi stava portando via tutto. Tra il lavoro come cameriere, prendermi cura del bambino e la sostanza non avevo più tempo e la dipendenza mi stava rubando l’anima».

Studio degli psicologi del centro Soranzo
Mettersi in gioco e lavorare su se stessi

Dopo questo breve percorso il giovane si sposta a Soranzo e inizia a lavorare: «Il primo periodo è stato un po’ difficile, bisogna riuscire ad ambientarsi. Si ha che fare con diverse personalità, persone pronte ad affrontare una relazione con l’altro». 

Così Stefano inizia a mettersi in gioco e arrivano le prime difficoltà: «Quando sei pulito e non ha più la sostanza in corpo gli impulsi e il malessere che prima coprivi con la droga, vengono fuori. Avevo un sacco di emozioni negative: rabbia, inquietudine che non sapevo come gestire. Inizialmente la dipendenza si sposta in altri “bisogni” come la relazione con un amico; può sembrare una cosa giusta ma per me stava diventando tossica: stavo creando un circuito dove non mi mettevo in gioco».

«Sono qua da circa 7/8 mesi – aggiunge il ragazzo – lavorando su me stesso, fidandomi dei terapeuti che hanno iniziato a darmi delle responsabilità; ora sono il portavoce che fa da tramite tra gli ospiti e gli operatori».

Piano piano Stefano sta riprendendo in mano la sua vita, facendo sempre più un lavoro di introspezione con maggior consapevolezza dei suoi limiti e dei suoi punti forza. «Questo luogo – conclude – mi ha regalato la dignità, degli ideali e dei valori che voglio mantenere fuori. Voglio riuscire ad essere il protagonista della mia vita, essere un buon padre e godermi la mia famiglia e quello che sono».

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