Nato a Wuhan, in Cina, nel 1964, Zeng Fanzhi si è laureato presso lo Hubei lnstitute of Fine Arts di Wuhan nel 1991. Durante i primi anni della sua formazione si è immerso nell’arte occidentale, sviluppando un’arte personale ed espressiva. Lavorando sulla scia della rapida modernizzazione e urbanizzazione della Cina, ha poi rivolto la sua attenzione alle figure presenti nelle industrie che lo circondavano. Le opere, che si pongono a cavallo tra realismo e immaginazione, sono realizzate con un’attenzione meticolosa al dettaglio tecnico, che si fonde con un ricco corpo di ritrattistica. Negli ultimi due decenni Zeng ha però familiarizzato di nuovo con la filosofia della pittura cinese tradizionale avvicinandosi ulteriormente all’astrazione. In parallelo alle sue sperimentazioni con il paesaggio astratto, Zeng ha continuato a sviluppare un linguaggio più sperimentale nello studio dei ritratti con facce distorte dipinte a distanza molto ravvicinata, con pennellate ampie e circolari che creano un aspetto frenetico e urgente.
I nuovi dipinti ad olio dell’artista sono il risultato di decenni di ricerca sulla teoria del colore, che attinge, sfidandole, alle pratiche impressionista e puntinista. Qui gli strati delle pennellate creano elementi figurativi facilmente riconoscibili da lontano, ma che si dissolvono nella materialità del dipinto a olio se osservati da vicino. Le variazioni di tonalità di un colore cedono il passo a schemi intrecciati di materia, spesso con più di trenta tipi di pigmenti brillanti in una sola immagine. L’esposizione fornirà uno sguardo approfondito sulla sua tecnica “bagnato su bagnato”, e dell’enfasi sulla mera materialità della pittura, che definisce il suo lavoro. Le opere su carta fatta a mano danno una nuova direzione al lavoro di Zeng, che combina con ambizione le iconografie cristiana, buddista e della pittura dei letterati. Le sue creazioni, richiamano immediatamente i punti più alti dei paesaggi monocromi a inchiostro risalenti alle dinastie Song (960-1279) e Yuan (1260-1368), rievocando allo stesso tempo le ambiguità dei paesaggi a inchiostro della tarda dinastia Ming e della prima dinastia Qing, eseguiti da pittori quali Zou Zhilin (1574-ca. 1654), Hongren (1610-1663), e Dai Benxiao (1621-1691). Il soggetto si muove con fluidità dal crocefisso alla rappresentazione di rocce e vecchi alberi, simboli, nella cultura tradizionale cinese, di forza, resilienza e longevità. Come i dipinti di Zeng, questi disegni sfidano consapevolmente ogni categorizzazione, allineandosi con le grandi tradizioni asiatica ed europea.
Al piano terra saranno allestiti due dipinti a olio a più pannelli: uno che allude all’iconografia buddista e l’altro a quella cristiana. Al piano superiore, invece, i visitatori troveranno lo spazio diviso in cinque sezioni tematiche. Il progetto di Tadao Ando è una progressione di pareti con una serie di aperture sempre più grandi, che creano un cono prospettico. Queste aperture collegano la vista dei due dipinti più grandi, uno a ogni estremità dello spazio, come al pianterreno; in questo caso però i due dipinti non sono figurativi ma suggeriscono piuttosto l’astrazione di luce e acqua. Sulle pareti di Ando e intorno ad esse è esposta una selezione dei dipinti a olio più piccoli di Zeng.«Nei suoi lavori, Zeng Fanzhi impiega due diversi tipi di materiali: uno spesso e topografico, l’altro sottile e traslucido» spiega Stephen Little. «Le opere di Zeng Fanzhi – continua Michael Govan – sono apprezzate soprattutto per l’equilibrio tra la maestria tecnica e l’emozione».
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