Come affrontare per una famiglia la scoperta di aspettare o di aver dato alla luce un bambino affetto da sindrome di down? «Non ci può mai essere dispiacere quando nasce un bambino – spiega Federico Dabalà, Presidente della sezione di Venezia Mestre dell’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) – assieme all’ULSS3 Serenissima collaboriamo da anni per concentrare l’attenzione di una coppia su questo avvenimento, la gioia di una nascita non può rischiare di essere rovinata da una comunicazione frettolosa che si fermi a una diagnosi».
«La gestione della comunicazione, ma anche l’affiancamento nella crescita del neonato, che coinvolgono vari soggetti oltre a ospedale e associazione è stata definita da un protocollo, un vero e proprio documento accreditato fra quelli che regolano le procedure dell’azienda sanitaria – spiega la dottoressa Paola Cavicchioli, primaria del reparto di pediatria dell’Ospedale dell’Angelo – non si tratta di una serie di istruzioni di comportamento, ma piuttosto di definire l’etica dell’approccio e la qualità di assistenza che dobbiamo garantire».
Formalizzate e definite per l’Ospedale dell’Angelo, dove sono state presentate il 11 ottobre 2023, l’idea è di estendere l’insieme di linee guida anche agli altri punti nascita dell’ULSS 3 Serenissima. «Il progetto nasce per superare la classica comunicazione che si concentrava sulla diagnosi, contrassegnando di tristezza una nascita dando l’impressione che sia arrivato un problema e non un bambino – spiega il Presidende AIPD – è una sindrome e non una malattia, la società è cambiata e oggi i ragazzi down se seguiti possono avere una vita attiva, rendendosi autonomi e lavorando come gli altri».
«Prima di aver ufficializzato il protocollo, la presa in carico dipendeva dalla sensibilità dei medici, abbiamo voluto creare dei riferimenti per gestire questo momento delicato con i genitori – aggiunge Silvia Vianello psicologa AIPD – la comunicazione avveniva nel contesto ospedaliero e le famiglie venivano indirizzate in seguito a noi, ora interveniamo direttamente in ospedale, a volte anche insieme ai sanitari, spesso con l’aiuto di genitori che hanno già accolto e cresciuto bambini con la sindrome di down e possono portare la loro esperienza del percorso di supporto che offriamo per crescere questi bimbi speciali. Interveniamo anche con mediatori linguistici perché la percentuale di gravidanze non controllate è più alta fra gli stranieri, che spesso vengono da culture dove la sintomatologia non è nemmeno conosciuta».
«Non sempre al momento della nascita le famiglie hanno tutte le informazioni sufficienti o sono consapevoli di avere un bambino con la sindrome di down – chiarisce la dottoressa Cavicchioli – per questo è fondamentale fare esami pre-natali come i test genetici, ma può capitare che durante la gravidanza o subito dopo il parto i sintomi non siano evidenti ma si manifestino nei primi giorni di osservazione. Succede spesso quando le neomamme non sono state seguite arrivando in ospedale solo per la rottura delle acque senza esserci entrate prima, soprattutto nel caso di donne straniere».
«Per comunicare questa notizia mettiamo insieme più specialisti, sia di ostetricia che di genetica, in futuro vorremmo coinvolgere anche la rete dei pediatri – continua il medico – si tratta di un momento critico perché i genitori si sono concentrati per nove mesi sulla nascita e si trovano a dover gestire le aspettative loro e della famiglia. Se il bambino è sano, viene lasciato con mamma e papà perché possano entrare in contatto con lui mentre riflettono sul suo futuro, l’obiettivo è non staccarli per non mettere davanti l’etichetta di una malattia rispetto all’evento di una nuova venuta al mondo, cerchiamo di comunicare che nasce prima di tutto un bambino, che la sindrome di down viene dopo e anche che nel percorso che sceglieranno di fare non saranno soli».
«Come associazione ci impegniamo a fornire un aiuto per tutto quello che c’è a seguito della dimissione affiancando l’ospedale – racconta Silvia Vianello – dai controlli di salute al supporto ai genitori, perché se si crea un clima di fiducia e collaborazione in famiglia il bambino lo sente e ne beneficia. Il nostro obiettivo è far ricordare che è nata una persona e non una sindrome, sembra scontato, ma appena arriva la diagnosi il rischio è che l’attenzione si sposti esclusivamente lì. Partire al meglio permette di iniziare un percorso per assicurare un progetto di vita. L’aspetto innovativo di questo protocollo è mettere insieme a rete tutti i soggetti che si prendono cura di queste famiglie: pediatri, ULSS, comuni e associazioni, perché dal parto inizi un percorso da affrontare insieme».
«Come medici siamo riconosciuti bravi quando diamo in fretta le diagnosi – aggiunge il primario – ma la comunicazione è difficile anche per noi, con l’idea di doverlo dire subito perché non si pensi che abbiamo sbagliato. Per questo abbiamo cambiamo anche il modo di farlo, non più in un freddo studio con una serie di messaggi negativi ma lo facciamo quasi sempre con il bambino in braccio ai genitori». Come ricorda Dabalà di AIPD: «Siamo passati in 40 anni dal sentire dire “è mongoloide non si preoccupi vivrà pochissimo”, ad essere accolti dalle famiglie e ricevere la fiducia dei medici. Al momento non mi pare che ci siano altri progetti di questo tipo organizzati in un protocollo, questo è un grande motivo di orgoglio per noi genitori e membri dell’associazione».
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