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Un uomo, una fucina di progetti: la storia di Mariano Fortuny

Dalle innovazioni in campo illuminotecnico alla creazione dell’Atelier Fortuny, con lo stabilimento per la produzione di tessuti stampati sull’isola della Giudecca. Tanti i progetti di Fortuny che da Venezia raggiunsero il mondo

Originale, visionario e impegnato artisticamente su più fronti, Mariano Fortuny y Madrazo fu anticipatore della modernità. Sono passati cinquant’anni da quando Palazzo Pesaro degli Orfei, casa veneziana e officina di Mariano Fortuny, è diventato un museo, in cui la Fondazione Musei Civici negli anni ha conservato la sua eredità per raccontare l’incredibile vicenda artistica di un uomo che, con il suo immenso patrimonio declinato in tutte le discipline – pittura, scultura, fotografia, incisione, teatro, scenografia, illuminotecnica, design, moda, tessuti, fino alle invenzioni, marchi e brevetti – è riuscito a fare dell’arte e dell’ingegno il suo stile di vita. Il percorso museale, in occasione del mezzo secolo di attività, è ora stato arricchito con una serie di opere inedite (leggi qui), oltre ad ospitare una mostra temporanea dell’artista spagnolo Alberto Rodríguez Serrano (leggi qui). Mariano Fortuny y Madrazo nasce a Granada l’11 maggio 1871, figlio di Mariano Fortuny y Marsal, noto pittore della seconda metà del XIX secolo, e di Cecilia de Madrazo y Garreta, figlia di Federico de Madrazo y Kuntz, insigne pittore della corte reale spagnola e direttore del Museo del Prado. Rimasto da piccolo orfano del padre, Mariano si trasferisce con la famiglia a Parigi. Lì muove i primi passi nell’arte, frequenta lo studio di Rodin, dove apprende le nozioni di scultura, e resta affascinato dal teatro. Inizia a cimentarsi nella costruzione di modellini teatrali, tra scene, costumi e attrezzature. «La persona che più ebbe influenza a trasportarmi nel mondo del teatro fu il pittore spagnolo Egusquiza, che era anche un appassionato musicista, né mancava mai nelle serate musicali periodiche in casa nostra ai Champs Elysées» diceva lo stesso Mariano, sottolineando come il pittore lo introdusse anche all’opera di Wagner.

L’arrivo a Venezia e l’incontro con artisti e letterati

Il destino volle per Mariano che nel 1889 la madre decise di trasferire nuovamente la famiglia, questa volta a Venezia. Qui incontra artisti e letterati e progredisce negli studi della pittura frequentando i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e approfondendo gli studi anche su arti incisorie, musica, teatro e fotografia.  A partire dal 1891 dà avvio a un ciclo di pitture e di incisioni dedicate ai temi wagneriani e in seguito, riconosciuto come pittore, partecipa più volte alla Biennale d’Arte, rivestendo anche il ruolo di commissario del padiglione spagnolo e poi entrando nel comitato organizzativo dell’Ente. Decisivo fu nel 1894 l’incontro con Gabriele D’Annunzio, che influenzò la sua vita artistica. Stringe inoltre amicizia, tra gli altri, con il critico d’arte e scrittore Ugo Ojetti, con il barone Giorgio Franchetti ed Eleonora Duse. Tra il 1899 e il 1900, in una continua alternanza di interessi sempre in bilico tra pittura, illuminotecnica e scenografia, prende possesso di un nuovo studio a Venezia: il sottotetto di Palazzo Pesaro degli Orfei, attuale Museo Fortuny, che diverrà nel corso degli anni prima laboratorio e poi sua residenza definitiva. È qui che nascono le idee della sua complessa riforma teatrale, a partire da una riflessione analitica sulla qualità e sulla natura della luce. Il 29 dicembre 1900 al Teatro alla Scala va in scena “Tristano e Isotta”, con la direzione d’orchestra di Arturo Toscanini. Per l’occasione Fortuny realizza le scene e i costumi e tenta alcune applicazioni del suo nuovo sistema d’illuminazione.

L’apertura dell’Atelier Fortuny e i tanti brevetti

Nel 1902 si trasferisce a Parigi per dedicarsi alla costruzione di apparecchi luminosi, alla progettazione del dispositivo scenografico, denominato “Cupola”, e allo sviluppo di un complesso sistema per l’illuminazione della scena con luce indiretta. Tornato nella città lagunare, nel 1907 avvia con Henriette Nigrin, sua futura moglie incontrata a Parigi nel 1902, un laboratorio di stampa su tessuto a Palazzo Pesaro degli Orfei. La prima creazione dell’Atelier Fortuny è il “Knossos”, uno scialle in seta innovativo e contrario alle regole dell’abbigliamento convenzionale. Nel 1909 deposita a Parigi due brevetti: il primo per un sistema di plissettatura della seta e il secondo per un modello di veste femminile. Queste due invenzioni saranno alla base della creazione del leggendario “Delphos”: l’iconico abito, nato da una straordinaria idea di Henriette, consacrerà il successo internazionale di Fortuny. La produzione del laboratorio di Palazzo Pesaro degli Orfei diventa imponente e nel 1912 Fortuny apre la prima boutique a Parigi, seguita da quelle di Londra e New York.

Oltre la Grande Guerra la Crisi del ‘29

Terminato il primo conflitto mondiale, che aveva messo in difficoltà la sua attività, nel 1919 Fortuny dà avvio alla costruzione dello stabilimento per la produzione esclusiva di cotoni stampati sull’isola della Giudecca, in riva San Biagio, su un terreno di proprietà di un dell’imprenditore e futuro socio, Giancarlo Stucky. Eccetto la Crisi del ’29 che lo vede costretto a chiudere momentaneamente la fabbrica, sono anni colmi di successi: i tessuti stampati raggiungono le boutique di tutta Europa e il nome di Fortuny è sempre più conosciuto, anche grazie al grande romanzo “À la recherche du temps perdu” di Proust. Inoltre, nel 1933 commercializza, con il nome di “Tempera Fortuny”, i colori da lui creati e utilizzati sin dagli inizi della sua attività pittorica. Tra i lavori per il teatro, invece, nel 1933 Mariano è invitato a fornire le sue preziose stoffe e a disegnare l’abito di Otello per l’omonima opera di William Shakespeare, in scena il 18 agosto nel suggestivo cortile di Palazzo Ducale a Venezia. A Venezia, nel mentre, le sue lampade a luce diffusa e indiretta sono impiegate per l’illuminazione del ciclo pittorico di Tintoretto nelle sale della Scuola Grande di San Rocco tuttora presenti, e in altri luoghi d’arte della città. Gravemente ammalato, Mariano muore il 2 maggio 1949 nella sua dimora veneziana, lasciando tutto in eredità alla moglie. Poco dopo inizieranno i primi passi verso la casamuseo e la donazione di Henriette al Comune di Venezia, avvenuta 1956, affinché il palazzo diventasse un centro culturale dedicato alle arti.

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