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UNESCO Venezia: intelligenza artificiale, etica e religione

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Appuntamento organizzato dal club UNESCO di Venezia presso la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista

«Per quanto sia “intelligente” non possiamo parlare con la nostra lingua a una macchina e pensare di poterla addestrare secondo un dialogo naturale, infatti questa ci risponde a quesiti per cui è stata istruita, attraverso una logica informatica – racconta il professor Lucio Varagnolo della Scuola di specializzazione per linsegnamento secondario (SSIS) di Padova e Venezia e già docente universitario a Ca’ Foscari e al Bo – anche se ho dedicato la mia vita alla ricerca in campo computazionale, non mi fido fino in fondo delle macchine perché queste non possono rispondere a tutte le esigenze, per il semplice motivo che non sanno riconoscere l’ambiguità e le caratteristiche del contesto. Quindi chi si prende la responsabilità quando queste sbagliano?»

Di questo tema se ne è parlato giovedì 16 gennaio 2025 alla Scuola Grande San Giovanni Evangelista di Venezia, dove oltre al professor Varagnolo è intervenuto don Gabriele Gastaldello della Diocesi di Vicenza. «L’AI è arrivata nelle nostre case e ci circonda tutti i giorni – ha esordito Daniele Spero, Vicepresidente del Club per l’UNESCO di Venezia, che ha moderato l’evento – le stiamo delegando non solo dei compiti ma anche dei pensieri. Ma che succederà se le chiederemo di decidere anche al posto nostro?». Come ha ricordato padre Gabriele, a lungo missionario: «Oltre alle conseguenze concrete, c’è anche da fare i conti con la coscienza, ma soprattutto con la nostra testa, delegando troppo, rischiamo di abbassare la nostra facoltà mentale».

Alla ricerca di una definizione di intelligenza artificiale

«Per una macchina è molto più facile comandare l’Apollo 11 che andare a prendere il latte in fondo alla strada come farebbe un essere umano – afferma provocatoriamente Varagnolo – il motivo è presto svelato: una è una condizione con un buon livello di prevedibilità, mentre l’altra, nella sua apparente banalità, prevede uno svolgimento che può essere soggetto a cose imprevedibili e quindi le risposte sarebbero molto difficili da calcolare». Ma dove nasce l’intelligenza artificiale? «Tutto è iniziato dal Dartmouth College ad Hanover nel New Hampshire – spiega il docente – dove nel 1956 alcuni studiosi si sono riuniti con l’’obiettivo di dare una definizione e degli obiettivi a questa nuova scienza».

«Dobbiamo tenere però a mente una cosa – precisa l’esperto – in realtà non c’è nulla di artificiale nella AI perché la istruiamo per pensare come il cervello umano ed è frutto di decenni di lavoro di moltissime persone, oltre a influenzarle, tanto che spesso viene definita come applicazione delle filosofia alla tecnologia. Nonostante questo però non esiste una definizione univoca e sarebbe un errore sottostimarne l’impatto, tanto che Elon Musk, ha dichiarato di considerarla più pericolosa delle armi nucleari. Potrà portare a stravolgimenti e innovazioni inimmaginabili, alcune si fanno già strada nella medicina per sequenziare il DNA, ma l’AI, anche se in grado di socializzare e simulare emozioni, non può risolvere problemi che un programmatore non saprebbe fare. Anche quando il super-computer IBM Deep Blue, che sfidò il campione di scacchi Garri Kasparov, vinse non perché più intelligente ma veloce nel calcolo delle probabilità e comunque il sovietico lo battè 3 volte su 5».

Usare la tecnologia per capire e non per delegare le scelte

«Forse prima di cercare la risposta nella tecnologia, dovremmo indagare dentro di noi – riflette Don Gabriele – Marino Gentile, grande filosofo di cui sono stato allievo, si raccomandava di porre la massima attenzione alla differenza fra le parole scienza e sapienza, la prima infatti riguarda ciò che a che fare con la natura e la seconda con la coscienza. L’intelligenza è quindi la capacità di ottenere risposte con l’esplorazione, lo stesso Karl Popper si raccomandava di non divinizzare la scienza perché costruita su palafitte, che quindi vanno costantemente rinforzate e se serve, sostituite. Quindi oggi nella confusione tra scienza e sapienza si intorpidiscono i pensieri e il rischio è di usare l’intelligenza artificiale a sproposito, non si possono trovare tutte le risposte al senso della vita nella cultura digitale».

«La velocità garantita dall’informatica, seppur spesso utile – spiega il religioso – rischia di far perdere la dimensione del senso della vita, non facendo assaporare le cose, perché troppa facilità impigrisce, anche il nostro cervello. In un turbine di informazione l’uso distratto di frammenti rende la mente labile, mentre dobbiamo mantenere la capacità di selezionare e aiutare la nostra memoria a conservare i messaggi preziosi, perché in un mondo alluvionato da stimoli, la lucidità è potere, soprattutto in una società incerta, insicura e complessa come quella in cui viviamo. Con l’AI l’uomo ha creato uno strumento più veloce del suo cervello, ma anche se più lento l’organo biologico sviluppa la coscienza e insegna a vedere il mondo. Non siamo stati creati per essere dei vasi da riempire ma per essere fuochi da far scoccare, per migliorarsi, perché siamo ciò che pensiamo. Più che mai oggi scienza e spiritualità possono dialogare senza entrare in competizione, perché la pura tecnica non protegge dai mali».

La natura dell’intelligenza: la differenza tra uomo e macchina

«Chi sa governare la mente troverà una grande amica, ma chi non ci riesce di fronte avrà grandi nemici – ha incalzato Padre Gastaldello – che se affrontati senza credere in nulla mettono di fronte all’angoscia della precarietà e alle sue passioni tristi. Le macchine non provano emozioni e non hanno coscienza, mentre anche chi è ateo arriva a dover fare amicizia con la propria identità interiore, la coscienza è una voce che ci cerca, la AI ne è sprovvista. Non possiamo quindi pensare di delegare scelte importanti senza la nostra guida, un controllo che dovrebbe essere ispirato da principi di rispetto per gli altri, accogliendo ogni uomo come una stella del cielo, ognuna con il suo splendore, perché in qualche modo il bene è l’“affitto” che idealmente dovremmo pagare per stare sulla terra».

«La differenza tra macchine e uomini è la natura della loro intelligenza – conclude Varagnolo – per definirla dovremmo risponderci a domande quali che cosa sia, se sia misurabile ed esclusiva della specie umana e se una macchina possa realmente replicarla. Di conseguenza se ci chiediamo se i computer possono pensare, tutto dipende da cosa intendiamo per pensiero perché possiamo davvero lasciar scegliere a una macchina che non è in grado di comprendere appieno il contesto? Kurt Godel, con i suoi teoremi dell’incompletezza, ha dimostrato che in ogni sistema formale ci sono sempre delle situazioni dove non esistono soluzioni “esatte”, se questo vale per l’uomo i sistemi informatici non fanno eccezione. Studiare l’AI senza studiare il cervello umano è quindi limitante, anche perché se l’intelligenza degli uomini ha varie forme, le macchine ne hanno una sola e per quanto efficiente, si basa “solo” su sequenze di 0 e 1».

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