«La nostra associazione è nata da un’idea comune condivisa da un piccolo gruppo di amici accumunati dalla passione per la bicicletta – racconta Andrea Heinrich, project manager de La Velostazione di Venezia – un interesse non agonistico ma proprio verso un modo alternativo di muoversi fra gli spazi urbani ed extraurbani. Spostarsi in questo modo permette di avere più tempo per vedere quello che ci circonda, conoscere e incontrare persone ascoltandone le storie. Insomma, guidati da questo comune sentire avevamo un sogno: creare un bike hub, uno snodo ciclistico, ritrovo riconosciuto e riconoscibile per appassionati, viaggiatori e membri della “bike community” locale e non viste le decine di migliaia di ciclisti che passano per Venezia tutto l’anno, dagli USA ai Balcani, fino all’Asia».
«Il progetto era quello di dare forma a un luogo che avrebbe dovuto essere in prima battuta un sito di accoglienza, dando un punto di appoggio a chi viaggia – prosegue – con la possibilità di incontrare la cultura, i sapori e la filosofia del nostro territorio, oltre a far scoprire il distretto della bike veneto, che ospita alcune fra le più grandi aziende di costruzione di biciclette e produzione di abbigliamento e accessori. Questo era l’intento che avevamo nel 2020, poi il Covid-19 ci ha scombinato i piani, ma non abbiamo accantonato questo sogno, che richiede investimenti e capitali, ma frattanto abbiamo dato vita all’associazione La Velostazione di Venezia, ospitata in via Fornace, cercando di fare azioni rigenerazione urbana, sensibilizzando verso stili di vita differenti e sostenibili, promuovendo la mobilità lenta anche per rilanciare i centri urbani e le relazioni al loro interno. Ma resta anche l’intento di andare in bici divertendosi, così coi nostri quasi 100 associati, che provengono anche da Treviso e Padova organizziamo diverse uscite».
«Abbiamo trasformato la nostra sede in un angolo in cui fare cultura, non a caso infatti il nostro logo è un ciclista con dei libri sottobraccio, ma non ci bastavano incontri e presentazioni, così abbiamo creato un vero e proprio contenitore culturale: “Pavè – pedalando a Venezia”, che in tre edizioni si è rivelato un successo – aggiunge Heinrich, che è anche curatore della manifestazione – richiamando anche il sostegno e il supporto di aziende partner ed enti. La formula che abbiamo adottato è quella dello storytelling, con la partecipazione di vari ospiti che raccontano le loro storie, molto variegate, ma in linea con la nostra visione e filosofia. Proprio l’edizione di quest’anno, svoltasi a maggio, si è caratterizzata per un’impronta fortemente ambientale».
L’evento, che coinvolge svariate migliaia di persone e viene realizzato con la collaborazione del Comune di Venezia, ha luogo presso l’auditorium De Michelis del Museo M9, il Parco San Giuliano e un itinerario ciclabile variabile, una gravel ride (dal nome della tipologia di bicicletta impiegata) in tre categorie di 50-90-140 chilometri, che partendo dal parco arriva fino a Punta Sabbioni, rientrando con un caratteristico “passaggio” in ferryboat. «Le iscrizioni al percorso sono massimo 500 – spiega il Presidente Michele Foffano – si aprono a gennaio e di solito entro la fine del mese sono già sold out, con partecipanti che arrivano anche da Austria e Slovenia. Il festival piace per la sua natura culturale ma anche esperienziale, infatti il passaggio in nave davanti a Venezia dopo una pedalata alla scoperta del territorio, con un itineriario che cambia ogni anno, resta uno dei momenti più memorabili e apprezzati».
«Noi crediamo nella diffusione di un modello di mobilità alternativo – spiega Heinrich – secondo un concetto di “lentezza” e sostenibilità a tutti i livelli. La bicicletta non solo libera la testa da stress e paranoie, ma permette anche di ridurre l’inquinamento e di essere più in salute». «Spostarsi in città in questo modo è completamente diverso – racconta Foffano – si è molto più veloci, ma si vede anche quello che c’è intorno a sé con maggiore calma, anche solo l’idea di uscire di casa e sapere che il viaggio sarà fluido, senza il pensiero di perdere tempo ed energia bloccati nel traffico in auto permette di godere meglio quello che ci circonda, natura compresa. Se poi ci si sposta in ambito extraurbano, magari fra i percorsi della laguna, è facile trovare altri ciclisti e iniziare un dialogo, si scoprono un sacco di cose e persone solamente seguendo i cartelli stradali o anche perdendosi».
«Si ritrova anche il valore del tempo in questa esperienza – aggiunge il Presidente – quando pedalo è l’unico momento in cui riesco a riflettere concentrandomi su quello che devo fare, senza l’assillo di un telefono che suona. In questo modo ragiono, godo di momenti di introspezione e penso, in questo modo ottengo un grande benessere, perché non sono seduto in ufficio alla rincorsa di tutto quello che non riesco a seguire, ma ordino i pensieri preparandomi meglio al lavoro, col risultato di essere più produttivo. Paradossalmente poi viaggiando su un mezzo “lento”, gli spazi si accorciano, la prima volta che mi sono accorto che potevo andare a Stra, arrivando praticamente dentro a Villa Pisani in bicicletta, senza dover fare la strada per tutta la Riviera del Brenta è stato sorprendente e da qui ho scoperto molti altri luoghi che non conoscevo grazie alla bici. Il nostro territorio infatti ha centinaia di chilometri di sentieri e ciclabili che si possono utilizzare, che non hanno nulla da invidiare a quelle di altri Paesi europei, magari non sono tutti segnati in modo evidente, ma basta iniziare a cercarli per avere grosse sorprese».
«Questo perdersi e correggere il percorso aiuta a trovare nuove traiettorie – spiega Heinrich – ci sono un sacco di app e di community online per condividere strade e itinerari, ma la nostra filosofia è quella di provare direttamente, in modo da vedere le cose diversamente da una bicicletta in contemplazione, io stesso ho rivisto determinati luoghi che in auto non mi avevano lasciato le stesse sensazioni provate su due ruote. La nostra idea di cittadinanza passa per una rifondazione dello stare al mondo, soprattutto in momento storico di grande accelerazione, cerchiamo di dare un’alternativa rivedendo un modello di consumo, per portare “lentezza” in vari aspetti della vita di tutti i giorni. Rallentare implica comprimere altri spazi della giornata, è vero, ma comprende anche scegliere le priorità, spesso forse non si cambia proprio per evitare questi processi di scelta».
«Non abbiamo accantonato l’idea del bike hub – conclude – ma frattanto vogliamo far crescere questa nostra realtà associativa per renderci visibili, comunicando e continuando a realizzare le nostre iniziative. Abbiamo già diverse donne con noi, ma vorremmo ampliare la loro presenza visto che sono molto attente e hanno una grande capacità organizzativa, ma vorremmo anche abbattere qualsiasi barriera a partecipare alle nostre iniziative, anche per chi la bici non è una scelta ma l’unico mezzo a disposizione. Continueremo poi a confrontarci, anche grazie al nostro festival Pavè, con altre nazioni straniere per sfatare anche alcuni miti, visto che quando abbiamo ospiti stranieri sono tutti entusiasti delle possibilità che offre l’Italia per le due ruote, mettendosi insieme l’Europa potrebbe essere davvero una piattaforma all’avanguardia per ripensare stili di vita sostenibili e a basso impatto ambientale, basterebbe, come ci ricorda il prof. Stefano Munarin dell’Università IUAV di Venezia , ripensare le città in termini di mobilità lenta. Come? Beh lasciare i centri solo per le biciclette sarebbe un inizio».
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