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Violenza di genere: superarla è la sfida del presente

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Sara De Vido, professoressa a Ca’ Foscari, spiega l’origine culturale del fenomeno

«La violenza di genere è sicuramente uno dei mali del nostro tempo, i dati non riescono a rispecchiare la gravità del fenomeno, non si tratta solo di non individuare tutto il “sommerso”, quanto di allargare il concetto stesso, visto che si manifesta in molte forme – spiega Sara De Vido, Professoressa associata di diritto internazionale all’Università di Venezia Ca’ Foscari e consulente esperta in materia per il Consiglio e la Commissione europea oltre che per l’ONU – il femminicidio è la punta di un iceberg, ma esistono varie manifestazioni di violenza, da quella psicologica a quella economica che sfuggono alla lente delle autorità e per quanto i dati Istat e delle ricerche siano attendibili, la gravità di queste situazioni elude la statistica».

«I report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità affermano che nel mondo una donna su tre ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale – prosegue – nonostante la cultura cambi da Paese a Paese, il fenomeno resta globale, per questo si tratta di una vera e propria violazione dei diritti umani oltre che una forma di discriminazione verso le donne. E’ una manifestazione di relazioni ineguali, frutto di una cultura patriarcale che spesso non si vuole ammettere, ma che storicamente ha segnato la vita delle persone e continua a farlo, le leggi non bastano se gli schemi mentali continuano a essere tramandati inalterati, la parità non si costruisce e consolida per via legale, ma per via culturale, finché la violenza viene tollerata non verrà mai superata. Oggi però si inizia a parlarne molto e i giovani hanno voglia di capire e di cambiare».

Il ruolo della cultura nella violenza di genere

«La matrice di una visione, che anche se non incentiva la violenza la accetta in qualche modo, è parte della cultura stessa ed è alla base della costruzioni di ruoli, generi e stereotipi – spiega la docente – anche se l’informazione occidentale si fa scudo delle altre culture per non guardare in casa, questi fenomeni si rilevano nei modelli e nelle etichette, con le relative aspettative, che vengono associate alle persone appena nascono anche qui da noi. Se ci sono delle evidenti differenze biologiche tra uomo e donna, queste non bastano a spiegare l’origine della violenza, che si scatena spesso a partire dai ruoli ascritti nella società in cui viviamo, appena questi non vengono rispettati scatta una risposta con varie forme, di cui la più difficile da riconoscere ma la più presente, è proprio quella psicologica».

 «Tutto quello che non conferma i modelli appresi e le aspettative di ruoli e genere crea un cortocircuito che può sfocare in violenza – chiarisce De Vido – l’unico modo per capire che non è una risposta tollerabile è una maggior consapevolezza diffusa di cosa si possa classificare come violenza, basti pensare che le molestie per molto tempo sono state considerate alla stregua di scherzi o goliardia. Quella che oggi può sembrare un’emergenza, con questo non voglio assolutamente sottostimarla, è spesso l’emergere di episodi che fino a qualche anno fa erano considerati in qualche modo normali o venivano accettati. Basti pensare alle varie ricerche sui Paesi del Nord Europa che mostravano più episodi rispetto al resto del continente, quando in realtà dipingevano un quadro di maggior consapevolezza perché si denunciava di più. Oggi ci troviamo in un momento in cui la recente pandemia e le crisi economiche hanno esacerbato questi soprusi, per cui è necessario prevenire, non solo curare».

Qualche ipotesi per affrontare il problema della violenza di genere

«A partire dalla “Convenzione di Istanbul” adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, esistono degli strumenti per affrontare la questione dal punto vista giuridico, resta però aperto il fronte su come arrivare alle radici di questo fenomeno – afferma la professoressa – per ottenere un consenso sull’eguaglianza di genere non si può prescindere dall’aspetto educativo lavorando sul concetto di relazione maschio-femmina e sul rispetto oltre che sulla natura delle forme di violenza, superando gli stereotipi che poi formano strati di costrutti sociali che rafforzano le discriminazioni, a partire da gesti banali come quando si compra la bambola alla bambina o il trattore al bambino perché il loro futuro deve essere per forza ascritto al loro genere».

 «Il primo punto è quindi parlare e informarsi sul tema – aggiunge – il sistema dei media in questo ha un ruolo essenziale, influendo sul modo in cui vengono riportate le notizie mentre lo Stato legifera anche per formare i cittadini attraverso servizi e norme, per un miglioramento generale della società. E’ un percorso da cui possiamo uscire solo a livello di collettività, non basta una visione di singola persona per incidere, per questo l’ascolto è un elemento importante, per comprendere le motivazioni dell’altro, senza aver paura di mettere in dubbio elementi che riteniamo consolidati nella società. Il mondo è cambiato rispetto a decenni fa, oggi l’idea di ruoli rigidi non è più attuabile in un contesto così dinamico, se evolve tutto cambia anche il ruolo delle donne, che spesso portano il “pane a casa” tanto se non di più di quello che per tradizione era compito esclusivo dell’uomo».

Ottimismo per il futuro con le nuove generazioni

«Dire “è sempre stato così” è un alibi, le donne devono avere la stessa possibilità di far carriera di un uomo senza essere accusate di trascurare i figli, viceversa un papà molto presente non è giusto debba essere definito in modo denigratorio un “mammo” – spiega De Vido – siamo tutti parte di questa società perché non possiamo semplicemente superare certe barriere che sono soprattutto culturali e mentali? Le donne fanno paura quando non si uniformano ai ruoli che sono stati imposti loro per tradizione, gli uomini in questo possono fare molto, iniziando a condannare la violenza quando la vedono e superando tutte quelle fastidiose forme di sessismo che vanno dalle battute alle discriminazioni vere e proprie».

«Sono molto fiduciosa nei giovani – conclude – perché vedo una crescente sensibilità, voglia di conoscere e di sapere, certo rimangono alcuni stereotipi perché vengono normalizzati da quando sono piccoli, ma c’è grande apertura e voglia di sfidare una “normalità” che appare sempre più stretta ai canoni attuali, lo dimostra la partecipazione ad alcune manifestazioni contro i femminicidi o, nel nostro piccolo come università, l’interesse suscitato dai un percorso interdisciplinare sul tema dei “gender studies” che ha avuto subito moltissime richieste. Non so se Internet sia alla base di questo cambiamento, se da un lato ha dato una grande spinta alla consapevolezza, resta un arma a doppio taglio, dove circola molta violenza di genere, sicuramente però maggior accesso alle informazioni e creazione di spazi di discussione sul tema non possono che far bene al progresso di tutta la collettività. C’è ancora bisogno di lottare molto per la parità di genere, forse io non vedrò il cambiamento appieno ma spero che per mia figlia ci sarà una società migliore in cui poter essere sé stessa senza paure o limitazioni».

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